Gli attacchi russi di giovedì a Kiev e Odessa più che un monito alle Nazioni unite sembrano un messaggio all’Ucraina. Innanzitutto, le forze armate russe sembrano aver voluto ribadire che la capitale non è intoccabile e che, in qualsiasi momento, i loro bombardieri o le loro postazioni di lancio potrebbero mirare sulla città. Anche il fatto che l’obiettivo fosse chiaramente strategico, una fabbrica militare, malgrado non si trovasse sulla linea del fronte, è un modo per ricordare che l’approvvigionamento dell’esercito ucraino, in qualsiasi forma, è considerato da Mosca un pericolo da colpire in tempi rapidi e con decisione. Ciò non vuol dire che gli attacchi siano meno letali, ovviamente. Almeno due persone sarebbero rimaste uccise in un edificio residenziale adiacente all’industria militare. Una di queste, Vira Hyrych, era una produttrice radiofonica di Radio Free Europe e Radio Liberty.

LUNGO LA COSTA del Mar Nero, invece, i missili sono stati neutralizzati in aria dalla contraerea ma i boati sono stati talmente forti da mettere a tacere ogni cosa per qualche minuto. La prima misura annunciata dall’amministrazione locale è un nuovo coprifuoco di 36 ore dal primo maggio. Forse per la paura, forse per la suggestione o forse per la necessità di distribuirlo ai militari, da ieri in città sembra scarseggiare il carburante e la maggior parte dei benzinai a metà giornata l’avevano esaurito, lasciando i pochi forniti con code di diverse centinaia di metri. Al fine di evitare situazioni analoghe, anche l’amministrazione di Kiev ha raccomandato ai propri cittadini di non utilizzare le automobili ma i trasporti pubblici, specificando che «le riserve di benzina servono ai militari». In serata, Yulia Svyrydenko, vice-primo ministro, ha spiegato che «c’è una carenza significativa di carburante alle stazioni di rifornimento in alcune regioni dell’Ucraina a causa degli attacchi devastanti dei russi alle infrastrutture del Paese». Tuttavia, secondo Svyrydenko, il problema sarà risolto «entro una settimana» grazie agli accordi con gli stati Occidentali, «ma i prezzi saliranno». Proprio a Odessa, a inizio aprile, il primo attacco missilistico russo sul suolo della città portuale aveva colpito degli importanti depositi di carburante e le strutture circostanti.

A POCA DISTANZA, la Transnistria vive ore molto concitate. Ieri mattina, il ministero degli esteri israeliano ha rotto gli indugi invitando pubblicamente i propri cittadini a lasciare il territorio della Transnistria «il più presto possibile». Poche ore dopo gli hanno fatto eco Gran Bretagna, Usa e Canada. Ma la notizia dell’ultima ora è la dichiarazione della presidente Maia Sandu, che in un clima di aggressività e violenza sembra insolitamente onesta: «La Moldavia non è pronta alla guerra, non abbiamo un esercito pronto a combattere». È importante sottolineare, però, che l’affermazione di Sandu potrebbe essere molto meno ingenua di quanto appare. Anche se non si hanno conferme, è plausibile credere che sia gli stati Occidentali e l’Ucraina, sia la Russia stiano facendo pressioni alla Moldavia. Il Paese è piccolo, ha 3 milioni di abitanti e uno dei tassi di povertà più alti d’Europa, entrare in un conflitto potrebbe essere un potenziale disastro per Chisinau. Quindi, forse, Sandu ha preferito giocare la carta dell’impreparazione piuttosto che scontentare qualcuno e mettere a rischio il proprio Paese.

INTANTO DA KHERSON continuano ad arrivare notizie contrastanti. Il famoso referendum che avrebbe dovuto sancire l’ufficializzazione del potere russo nel territorio occupato già durante i primi giorni del conflitto, non solo non si è tenuto il 27 aprile ma al momento non è chiaro quando e se ci sarà. Si vocifera che le autorità occupanti vorrebbero organizzare la consultazione tra il 1 e il 9 maggio e in molti considerano quest’ultima data come la più plausibile per due motivi. Il primo è che in quella data si terrà la parata che celebra la vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista. Inoltre, più passa il tempo e più aumenta il rischio che gli ucraini, magari galvanizzati dalle nuove armi, tentino una sortita verso Kherson. Alle 18 di oggi alcuni canali Telegram russi hanno diffuso le immagini di mezzi corazzati e blindati ucraini distrutti o sequestrati sull’autostrada M-14 nei pressi di Kherson definendoli i resti «di un presunto contrattacco ucraino»; al momento non ci sono ancora conferme da parte ucraina e, se davvero si trattasse di un’operazione esplorativa, può darsi che non ne avremo mai.

IN VERITÀ sembra molto improbabile che le forze ucraine ingaggino uno scontro in campo aperto con i russi che in questa zona hanno più uomini, più mezzi e la copertura area dalla Crimea. Tuttavia, delle azioni mirate di successo potrebbero indebolire il controllo che gli occupanti hanno sulla regione. Ricordiamo che anche se ufficialmente non si hanno conferme le azioni sul territorio della città e dell’oblast di Kherson da parte ucraina stanno continuando. Una settimana fa l’esercito di Kiev sarebbe riuscito a colpire un posto di comando russo poco fuori dalla città e sarebbero rimasti uccisi due generali, mentre un terzo sarebbe stato gravemente ferito. Mercoledì Ria Novosti ha diffuso i video di presunti missili ucraini diretti all’antenna tv di Kherson ma sembra che le trasmissioni siano ancora operative. Il giorno dopo, una folla di manifestanti ucraini si è riunita di nuovo di fronte al palazzo del municipio per protestare contro l’occupazione e questa volta la polizia militare ha risposto in modo più violento e rapido rispetto al passato, diverse persone sono state ferite e si parla di una ventina di arresti. Sempre nell’ottica della volontà di stabilizzare il controllo nella regione occupata, la Cnn ha dichiarato che le autorità russe inizieranno a usare il rublo come moneta di scambio in tutto l’oblast a partire dal primo maggio.