Come se non bastasse la dengue. Ritardi, omertà e primi decessi da coronavirus in America latina
Tranne che a Cuba «Livelli allarmanti di inazione», l’Oms preoccupata. Casi inquietanti in Argentina e Bolivia. Ma a preoccupare è la tenuta dei sistemi sanitari di Haiti, Nicaragua, Honduras, Guatemala... E Venezuela causa embargo
Tranne che a Cuba «Livelli allarmanti di inazione», l’Oms preoccupata. Casi inquietanti in Argentina e Bolivia. Ma a preoccupare è la tenuta dei sistemi sanitari di Haiti, Nicaragua, Honduras, Guatemala... E Venezuela causa embargo
Il coronavirus fa ora paura anche in America latina. Da quando la regione ha registrato il primo paziente positivo al Covid-19, il 26 febbraio in Brasile, il contagio si è diffuso in 11 Paesi, provocando anche le prime tre vittime, in Argentina, Panama e Guyana.
E se i casi appaiono ancora limitati (più di 180), nessuno dubita che aumenteranno sensibilmente nei prossimi giorni. Anche perché alle preoccupazioni dell’Oms sui «livelli allarmanti di inazione» in tutto il mondo non sfugge sicuramente la regione latinoamericana.
Mentre uno dopo l’altro, i governi adottano le prime misure preventive, i principali timori riguardano infatti la reale capacità di far fronte all’emergenza, considerando – quasi ovunque, con l’ovvia eccezione di Cuba – la precarietà dell’infrastruttura sanitaria, già messa a dura prova dalla peggiore epidemia di dengue della storia (3 milioni di casi lo scorso anno, più di 1.500 morti).
Tant’è che l’Organizzazione panamericana della Salute ha annunciato l’invio di missioni di appoggio ai paesi a «rischio maggiore», come Haiti, Nicaragua, Honduras, Guatemala, Bolivia, Paraguay e Venezuela. Paese, quest’ultimo, che, benché ancora senza casi di contagio, dovrà fare i conti con i pesanti effetti dell’embargo economico sul settore sanitario.
Proprio il primo decesso per coronavirus registrato in Argentina getta una luce inquietante sull’impreparazione e la negligenza emerse nella regione in questi primi giorni di diffusione del virus.
La vittima, il 64enne Guillermo Gómez, tornato dalla Francia il 25 febbraio e ricoverato il 4 marzo all’ospedale Argerich, sarebbe stato lasciato, secondo la denuncia di familiari e amici, quasi sei ore in un corridoio del pronto soccorso in mezzo al via vai di gente, quindi trasferito in una stanza comune, anziché in isolamento, e solo il 6 marzo in terapia intensiva. Così hanno denunciato familiari e amici della vittima, contraddicendo la versione delle autorità, secondo cui invece i protocolli di sicurezza sarebbero stati immediatamente attivati. Soltanto al momento del decesso, il giorno successivo, è stata in ogni caso resa nota la sua positività al Covid-19, dopo che Gómez era entrato in contatto con pazienti, familiari e personale sanitario, in un ospedale, per di più, in cui di notte cercano rifugio, al pronto soccorso, molti senza tetto.
Drammatico anche il caso, questa volta in Bolivia, di una paziente positiva al virus che l’11 marzo è stata respinta da più di cinque ospedali di Santa Cruz – con medici, infermieri e familiari dei pazienti impegnati a bloccare l’ingresso all’ambulanza – e infine condotta in un edificio governativo. «Non abbiamo potuto ricoverarla in nessun ospedale per l’intransigenza e la mancanza di umanità della gente», ha dichiarato il segretario della Salute di Santa Cruz Óscar Urenda. Senza spiegare tuttavia come sul panico della popolazione molto abbia influito l’assenza di informazioni e il ritardo nell’adozione di misure preventive da parte del governo Añez.
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