Fossile e nucleare, il prezzo salato del greenwashing
Verrebbe quasi da pensare che quella della tassonomia dell’Unione europea sia una vicenda di ansia da prestazione, se non sapessimo invece che certe scappatoie nascono sempre dalla pressione di fortissime lobby legate ai combustibili fossili e dalla contrattazione con gli Stati. Mi riferisco all’inclusione di gas e nucleare nella classificazione delle attività eleggibili per gli investimenti sostenibili. Si è partiti con il proposito di creare uno strumento che potesse fungere da esempio anche per gli altri Paesi.
Ricordo la Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici tenutasi lo scorso luglio a Venezia, organizzata dal ministero dell’Economia e delle Finanze italiano e dalla Banca d’Italia, a margine della riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali del G20. Tutti a magnificare la tassonomia europea e a portarla come esempio. Poi la Commissione stila la proposta di elenco di attività da includere, proposta che arriva alle 22 nella notte di San Silvestro, e la tassonomia diventa (o rischia di diventare) invece uno strumento di greenwashing, ben peggiore di quella di altri Stati. La tassonomia dell’Ue aveva – anzi, ha – lo scopo di accelerare la transizione in linea con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. La decisione europea, invece, fornisce incentivi finanziari alle aziende per investire nel nucleare e nel gas fino al 2030 – nonostante le elevate emissioni provenienti dal gas fossile e le scorie radioattive e i problemi di sicurezza dell’energia nucleare- e quindi ritarderà la transizione verso le alternative rinnovabili, l’unica alternativa sostenibile per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Ue e allo stesso tempo garantire l’efficienza e la sicurezza energetica.
PRIMA DEL VOTO, oltre 489.182 persone in tutta Europa hanno esortato i loro europarlamentari a respingere il greenwashing della tassonomia dell’Ue. È evidente che i cittadini europei non appoggino le false leggi verdi e ciò non stupisce. C’è una crisi di credibilità della politica e, nel contempo, un forte consenso per le fonti rinnovabili: cosa poteva inventarsi di meglio la politica per perdere ulteriormente credibilità cedendo alle pressioni delle lobby del gas fossile e del nucleare? Eppure quei miliardi di investimenti sono assolutamente necessari per garantire la transizione climatica. Non lo credono solo il Wwf e le altre associazioni ambientaliste, è l’opinione anche degli investitori e di chi gestisce gli strumenti finanziari, preoccupati della credibilità e attrattività della finanza verde, visti i rischi evidenti sia per il nucleare, sia per il gas. Passata la crisi energetica, le infrastrutture fossili diventeranno rapidamente strandend asset, cioè investimenti destinati a perdere valore.
Intanto il Wwf insieme ad altre organizzazioni come ClientEarth (un’associazione di avvocati per l’ambiente), ritenendo che questo atto sia incoerente con il regolamento sulla tassonomia, valuterà tutte le possibili strade, comprese eventuali azioni legali, per fermare il greenwashing e proteggere la credibilità dell’intera tassonomia dell’Ue. Lo stesso faranno altre associazioni e anche alcuni Stati.
OLTRETUTTO, L’ITALIA NON CI GUADAGNA nulla: gran parte delle centrali italiane a gas non rientrano nei limiti fissati, il nucleare è fuori questione dopo ben due referendum e sarebbe comunque una grande perdita di tempo (tra 20 anni, quando forse avremmo le prime centrali, il nostro settore elettrico deve essere più che decarbonizzato, oggi sia G7 che Agenzia Internazionale per l’Energia indicano il 2035 come scadenza). Pensare di investire nella CCS, cioè nella cattura e stoccaggio in depositi geologici del carbonio, è molto rischioso, la possibilità di finire in un incubo finanziario e molto elevata, visti i molti insuccessi collezionati.
POI C’È IL NUCLEARE, e in particolare il nucleare francese. È risaputo, e anche evidente, che il nucleare anche in Francia non navighi affatto in buone acque. Lo stesso governo francese ha dovuto ammettere che ben 12 centrali hanno «imprevisti» problemi di corrosione, quindi problemi seri e strutturali. Il fatto è che molte centrali sono arrivate al capolinea, cioè il temuto momento del decommissioning (dismissione) e messa in sicurezza dell’impianto e delle scorie, il momento di pagare costi davvero enormi. Per ammortizzare e distribuire in parte questi costi, che vengono scaricati sempre sullo Stato e sui contribuenti – pochi giorni fa, Edf è stata acquisita al 100% dallo Stato, in Francia – diventa quindi necessario costruire nuove centrali nucleari, possibilmente non solo nella repubblica d’oltralpe (un meccanismo che ricorda uno schema Ponzi). Finora però le cose non sono andate bene con l’unica nuova centrale in costruzione, quella di Flamanville, una ennesima tela di Penelope in costruzione da sedici anni, con costi moltiplicatisi per sei. Tanto per cambiare, si cercherà di mettere le mani sui soldi degli investitori. A suo tempo (dal ’92 ai giorni nostri) si usarono i fondi del CIP6, reperiti in bolletta e destinati alle rinnovabili, per darli a raffinerie e inceneritori. Un vizio dalle conseguenze potenzialmente pesanti sia per i consumatori che per tutti noi.
CHE SUCCEDERÀ? Vedremo che ne sarà dei ricorsi. Sicuramente cercheremo di non permettere a fossili e nucleare di mettere le mani sui soldi per la transizione e per minimizzare l’impatto sociale della transizione. Intanto però, ci auguriamo che i cittadini facciano sentire la loro pressione verso le istituzioni finanziarie, gli investitori e tutti gli attori del mercato dei capitali perché continuino ad allineare i loro portafogli agli obiettivi dell’Accordo di Parigi e del Green Deal europeo e a effettuare investimenti che producano significativi benefici aggiuntivi per il clima e la natura.
* Responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia
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