Colpiti allevamenti e fattorie, distretti marchigiani in ginocchio
Agroalimentare Secondo Coldiretti sono circa tremila le aziende agricole a rischio tra Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo. Anche il manifatturiero se la sta passando male. Nel fermano e nel maceratese di aziende che si occupano di calzature o di pellami ce ne sono a centinaia
Agroalimentare Secondo Coldiretti sono circa tremila le aziende agricole a rischio tra Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo. Anche il manifatturiero se la sta passando male. Nel fermano e nel maceratese di aziende che si occupano di calzature o di pellami ce ne sono a centinaia
I distretti marchigiani dell’agroalimentare e del manufatturiero, i simboli della mitologica laboriosità dell’unica regione al plurale, tremano anche loro. Forse crollano, forse alla fine saranno l’unica cosa che rimarrà in piedi. I numeri sono incerti, perché da queste parti la maggior parte delle aziende è a conduzione familiare: pochi dipendenti, attività minime, un sottobosco di attività e pratiche che conoscono la parola «crisi» da molto prima degli ultimi due mesi di terremoto.
Secondo Coldiretti le aziende a rischio sarebbero circa tremila, mentre negli ambienti sindacali, a spanne, si contano almeno diecimila posti di lavoro che potrebbero non esistere più. Il settore maggiormente colpito è quello delle fattorie e degli allevamenti: ci sono oltre 100mila animali da queste parti, e gli allevatori sono sempre gli ultimi a voler lasciare i vari paesi, anche se non hanno più una casa, anche se il 90% (dati ancora da Coldiretti) delle stalle è inagibile, anche se non c’è più niente. Perdere la casa è già un dramma quasi indescrivibile, veder morire anche il proprio lavoro vuol dire rimanere a mani vuote, con una vita da reinventare, nell’impossibilità di tirarla fuori dalle macerie del terremoto. Così l’appello è di inviare quanti più camper e roulotte possibili, per non allontanarsi troppo dai propri animali e dalle proprie terre.
Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, Muccia, Pieve Torina, San Ginesio, Camerino, Caldarola e Pievebovigliana, in provincia di Macerata, viaggiavano a rimorchio dell’economia gastronomica umbra: lenticchie, salumi, prodotti caseari, per un totale di novecento aziende e quasi duemila occupati. Anche qui non c’è più nulla, e per rimettere in piedi la situazione potrebbero volerci anni.
«Lo stress causato dalle scosse ha provocato un crollo della produzione di latte – spiegano da Coldiretti -, non solo le stalle ma anche i fienili e i casolari sono lesionati o distrutti con gli allevatori che non li possono proprio abbandonare. Bisogna anche stare vicini agli animali che devono mangiare tutti i giorni e le mucche vanno munte. Il timore è anche per i furti e l’abigeato nelle campagne isolate dove è più difficile l’attività di controllo».
Nelle Marche il 30% delle imprese sono di natura agricola, tanto per inquadrare quella che potrebbe essere la natura del problema. Malgrado la crisi economica e il calo dei profitti, il settore era ancora in piedi, almeno fino alle ultime scosse: l’ultimo appiglio di un economia regionale che in un decennio ha visto centinaia di fabbriche abbandonare per sempre il territorio e decine di migliaia di posti di lavoro perduti, tra la provincia di Ascoli – che fu il confine a nord della Cassa del Mezzogiorno – e il pesarese.
Anche il manifatturiero se la sta passando male. Nel fermano e nel maceratese di aziende che si occupano di calzature o di pellami ce ne sono a centinaia.
Solo a Tolentino il distretto della pelletterie conta cento aziende e almeno duemila addetti. Non risultano danni ai capannoni, ma le attività sono tutte ferme o procedono a estremo rilento. Tutte da valutare le conseguenze del sisma sulla filiera: l’indotto è un formicaio di piccole attività di natura artigiana e micro-imprese, nessuno se la sente di azzardare previsioni su quello che sarà, anche perché ancora bisogna capire bene quello che è stato, cioè fare una stima completa dei danni.
Fortissimi timori attraversano anche i pensieri degli operatori turistici, che già si interrogano su quanta gente deciderà di venire a passare le vacanze nelle Marche, la prossima estate. Nelle zone intorno all’Appennino, quello del turismo, è un settore raso al suolo insieme agli alberghi e ai ristoranti, sulla costa si teme, per così dire, l’effetto domino, con cali vistosi degli arrivi e delle presenze.
Il territorio marchigiano è davvero plurale, nel senso che, malgrado le apparenze, nella sua storia non si è mai dimostrato davvero capace di unirsi e marciare unito, almeno sul fronte dello sviluppo economico. Adesso l’unica possibilità di rialzarsi è proprio legata alla volontà di mettere insieme gli sforzi. E ripartire tutti insieme.
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