Sette arresti in meno di due settimane. In Tunisia il regime del presidente della Repubblica Kais Saied sta dimostrando con i fatti che le maglie della repressione nel paese si sono ufficialmente ristrette.

Dopo aver colpito quattro esponenti della società civile che lavorano in ambito migratorio, lo scorso sabato l’avvocata Sonia Dahmani e i giornalisti Mourad Zghidi e Borhen Bssais sono stati posti in custodia cautelare per 48 ore, una disposizione poi successivamente prorogata. Il reato? Avere espresso delle opinioni. Ricostruire la cronaca permette di comprendere quale sia l’attuale limite di controllo securitario imposto da Saied, la cui presidenza si era già resa protagonista in passato di alcuni arresti politici motivati tuttavia da ragioni diverse. Quello che è successo questa settimana ha spinto l’asticella ancora più in alto.

Sonia Dahmani è un’avvocata e nota opinionista televisiva. Durante una trasmissione nazionale ha risposto a una domanda del presentatore che le chiedeva, sull’onda del discorso presidenziale del febbraio di un anno fa, se i migranti subsahariani fossero venuti in Tunisia per conquistare il paese: «Che cosa c’è di così geniale nel conquistare un paese dove la metà dei suoi giovani vuole scappare?», ha commentato Dahmani. Da lì a qualche giorno le è stata notificata una domanda di comparizione al tribunale di Tunisi. Rifiutatasi di presenziare all’udienza «non per sottrarmi alla giustizia ma perché non ho commesso alcun atto contro la legge», le forze di polizia hanno fatto irruzione mascherate all’interno dei locali dell’Ordine nazionale degli avvocati dove Dahmani si era rifugiata. Il tutto è stato ripreso dalle telecamere di France24, presente in quel momento per un collegamento sugli ultimi arresti.

La giornalista Maryline Dumas, nonostante abbia tenuto un certo controllo nel documentare in diretta quanto stava accadendo, si è trovata completamente spiazzata dalla situazione, mentre l’operatore Hamdi Tlili è stato fermato per qualche istante per poi essere rilasciato con la strumentazione distrutta. Nelle ore immediatamente successive a un episodio che rappresenta un precedente importante per gli scenari futuri della Tunisia, si è diffusa la notizia degli arresti dei giornalisti Mourad Zghidi e Borhen Bssais. «Il mio cliente è stato fermato a causa delle sue analisi politiche e sociali trasmesse da Radio IFM negli ultimi mesi», ha commentato l’avvocato di Zghidi.

Il domani del paese resta un’incognita. Quello che è certo sono gli strumenti della nuova repressione. È infatti grazie al decreto legge 54 del 2022 contro la diffusione di informazioni false che a oggi è possibile arrestare le persone colpevoli di avere espresso un’opinione. In particolare, questa misura prevede cinque anni di reclusione per chiunque «utilizzi deliberatamente reti di comunicazione e sistemi informativi per produrre, promuovere, pubblicare o inviare informazioni o voci false». Una pena che può arrivare fino a dieci anni nel caso riguardi un funzionario di Stato.

Nel tentativo di inserire quanto sta succedendo oggi in Tunisia all’interno di una cornice storica più ampia, basta leggere le parole di Laroussi Zguir, presidente del Consiglio regionale degli avvocati di Tunisi: «È la prima volta nella storia dell’Ordine degli avvocati che la sua sede viene attaccata in questo modo». 

Nel frattempo si sono registrate alcune reazioni politiche. Una manifestazione si è svolta nel centro di Tunisi domenica scorsa per chiedere la liberazione degli arrestati, mentre l’Ordine ha dichiarato uno sciopero nazionale e il boicottaggio delle udienze fino a giovedì, giorno in cui è prevista una protesta di fronte al palazzo di giustizia. Dal canto suo, l’Associazione nazionale dei magistrati ha denunciato un ulteriore oltraggio alla giustizia ricordando come questo episodio sia solo l’ultima ingerenza politica in ordine di tempo dopo lo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura nel febbraio del 2022 e le nuove disposizioni presidenziali che permettono a Saied di revocare in maniera arbitraria dai loro incarichi i giudici.

Questi ultimi episodi di cronaca si inseriscono all’interno di un momento molto delicato per la Tunisia, schiacciata da una crisi economica e sociale pluridecennale e alle prese con una situazione migratoria che il presidente della Repubblica considera fuori controllo. Il 6 maggio scorso, durante un consiglio di sicurezza, Kais Saied ha dichiarato che diverse associazioni hanno ricevuto cifre enormi dall’estero e ribadito che «non c’è posto per coloro che vogliono sostituirsi allo Stato». In quelle stesse ore venivano arrestate quattro persone legate a organizzazioni che operano in ambito migratorio, mentre l’impressione che emerge da diversi analisti è che questo sia solo il primo capitolo di una repressione molto più ampia.