Internazionale

Colombia, il grande inganno contro i contadini

Colombia Il piano nazionale del presidente Duque dopo gli accordi di pace favorisce solo le multinazionali

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 10 febbraio 2019

Magola Aranda si fa fotografare orgogliosa vicino alla sua fattoria, insieme al marito Justo. Alle loro spalle c’è la foresta amazzonica e il placido corso d’acqua, che abbiamo appena risalito con la lancia.

È un ramo minore del Rio Putumayo, che segna il confine con l’Ecuador e che dà il nome alla regione. Siamo nel Sud occidente colombiano. Magola era una cocalera, una raccoglitrice di coca.

Gli accordi di pace fra governo colombiano ed esercito guerrigliero delle Farc – Ep tre anni fa, hanno previsto la sostituzione delle coltivazioni illecite e un piano per la redistribuzione delle terre: «I patti erano chiari: noi sradicavamo le piante di coca, cercando un’alternativa produttiva, mentre il governo ci dava 2 milioni di pesos (circa 500 euro) ogni due mesi per un anno e si impegnava a costruire scuole ed ospedali. Ma a parte el primer pago non è arrivato più niente. Il conflitto non è terminato, ma si è complicato, ora che le Farc si sono ritirate. E la gente sta cedendo ad Amerisur».

CIOÈ LA MULTINAZIONALE del petrolio, filiale dell’inglese «Amerisur Resources», che qui in Putumayo ha in concessione quasi un milione di ettari e si è affrettata a offrire ai contadini senza più denaro, contratti da fame – il cosiddetto ventiocio, 28 giorni di lavoro – senza curarsi dei danni ambientali. Lo splendido fiume alle spalle di Magola è completamente contaminato.

Quello che racconta questa contadina è la vita concreta di milioni di persone che in Colombia vedono sfumare il sogno della pace, dopo mezzo secolo di conflitto. Una guerra sucia che ha affondato le sue radici nella proprietà della terra in mano di pochi, e che gli accordi del 2016 promettevano di risolvere.

E che il documento sul Piano Nazionale di Sviluppo (Pnd), dal rassicurante titolo «Pacto por Colombia, pacto por la equidad», presentato il 7 febbraio dal presidente Ivan Duque, mette invece a rischio: «Il Pnd dichiara la volontà iperestrattivista di questo governo – ci spiega Paula Alvarez Roa, colombiana, politologa, ricercatrice ambientale ed editorialista de «La Silla Vacia», che incontriamo durante un seminario a Bogotà – con la maxiconcessione di 30 milioni di ettari alle multinazionali».

DUQUE, FIGLIO POLITICO dell’ex presidente di ultradestra Uribe, non ha mai nascosto la sua avversione agli accordi di pace.

«Si dichiara l’uso sociale per i progetti estrattivi – continua a spiegare Alvarez Roa – che in cambio dello sfruttamento intensivo possono pagare solo il 50% di tasse e il resto, con la costruzione di infrastrutture e per migliorare il territorio. In pratica, una forma di colonizzazione. Con questa mossa si vuole provare a cancellare le resistenze delle comunità territoriali, che attraverso consultas populares si sono dichiarate contro l’industria mineraria e in difesa dell’acqua, e che continuano a combattere per costruire la Paz con justicia social».

LA SVENDITA di una porzione di terra grande quanto l’Italia alle principali multinazionali mondiali, si interseca necessariamente con la violenza di un conflitto interno che si sta intensificando e che conta ad oggi 500 leader sociali ammazzati dalla fine dei negoziati: «Avere un’economia dipendente dall’estrazione di materie prime ci configura come un territorio chiave per il gran capitale, legato a doppia mandata ai meccanismi di potere globali», conclude l’esperta.

Un Paese che confina con il Venezuela in piena crisi, e che si dice disposto ad offrire – così come dichiarato da Uribe – appoggio logistico agli Stati uniti per gli «invii di aiuti umanitari»; e che il prossimo 13 febbraio incontrerà Trump «per la consolidazione della democrazia nel continente», come ha annunciato il presidente colombiano con un tweet.

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