C’è vita, a sinistra del Partito democratico e dell’«alleanza tecnica» che Enrico Letta va costruendo.

Ma non è chiaro se tutto ciò nel giro delle due settimane che conducono alla presentazione delle liste possa davvero dare vita a una coalizione e generare una proposta politica chiara e visibile.

LA PRIMA variabile a pesare su questa opzione è quella del Movimento 5 Stelle. Ancora una volta, ieri Giuseppe Conte ha ribadito al Fatto Quotidiano di non avere interesse a presentarsi come il Jean-Luc Mélenchon italiano.

Al di là di certe semplificazioni giornalistiche, significa che il suo M5S non ha abbandonato l’idea di poter attrarre una fetta di elettorato post-ideologico e non necessariamente caratterizzato a sinistra.

È pure vero, tuttavia, che Conte è rimasto senza coalizione dopo che da mesi lavorava ad un fronte progressista e dopo che per settimane ha perseguito una sua agenda sociale da contrapporre a quella di Draghi, che sembra essere diventata il vessillo di quel che rimane del centrosinistra.

Ulteriore indizio: il messaggio con il quale Beppe Grillo ha ritenuto di dare man forte ai 5 Stelle. «Sapevamo fin dall’inizio di dover combattere contro zombie che avrebbero fatto di tutto per sconfiggerci o, ancor peggio, contagiarci – sostiene il fondatore – E così è stato: alcuni di noi sono caduti, molti sono stati contagiati. Ma siamo ancora qui, e alla fine vinceremo, perché abbiamo la forza della nostra precarietà: siamo qui per combattere, non per restare, e questa nostra diversità è spiazzante per gli zombie».

I toni sembrano quelli di dieci anni fa, con tanto di appello alla patria: «Stringiamoci a coorte! L’Italia ci sta chiamando».

La redazione consiglia:
Calenda sì, Renzi anche no. Sinistra rossoverde al bivio

Tra le beghe interne ai grillini, c’è il problema di comporre le liste in due settimane: Grillo insiste per le parlamentarie, Conte teme che non ci sia tempo e che possano essere falsate dal fatto che dei circa 150 mila iscritti al M5S alcuni risalgono alla fase precedente alla scissione di Luigi Di Maio, il che potrebbe falsarne gli esiti. Tanto più che ieri se ne sono andati il ministro Federico D’Incà e l’ex capogruppo alla Camera Davide Crippa.

ACCANTO A questi sommovimenti pentastellati, che lasciano pensare che tutto vada verso una candidatura solitaria sotto le insegne di quello che Conte ha definito «il terzo incomodo» tra destra e centrosinistra, c’è l’uscita di Michele Santoro.

Da giorni si sapeva dell’attivismo del giornalista e conduttore televisivo. Adesso sappiamo che tutto ciò si sostanzia nell’evocazione de «il partito che non c’è», formula che rievoca l’avvenuta (in verità non fortunata) di Santoro alla conquista di uno spazio televisivo al di fuori del monopolio Rai-Mediaset, negli anni Novanta del secolo scorso.

Santoro, da giornalista e uomo di comunicazione, parla per immagini e allusioni. La traduzione in politichese la offre l’ex parlamentare verde Paolo Cento, considerato vicino alla galassia di Santoro (vedi articolo nell’edizione del manifesto di oggi).

La redazione consiglia:
Contro le destre, senza il ricatto del voto utile

«La sua provocazione sulla lista per la pace, pongono un tema condivisibile – spiega all’Ansa – A queste elezioni un’ampia fetta di elettori di sinistra, pacifisti ed ecologisti, rischia di non essere rappresentata. Abbiamo lavorato per mesi ad un campo largo tra Pd, Leu e M5s, ed ora ci ritroviamo a parlare di Brunetta, Calenda e Gelmini. Questo perché il Pd ha deciso di sacrificare la coalizione puntando a perdere, ma da primo partito. Un errore enorme che ora consegna a Conte la responsabilità di dare un segnale di apertura, dopo la sollecitazione arrivata da Santoro».

CONTE LO DARÀ, questo segnale di apertura? Le cronache delle ultime ore dicevano della refrattarietà dei 5 Stelle di andare con altre liste per timore dello sbarramento del 10% che la legge elettorale assegna alle coalizioni.

A questi dubbi, causati anche dalla forma non cristallina con la quale è stata scritta la legge elettorale, risponde Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista e parte del cartello che (con Potere al popolo) lavora all’Unione popolare con Luigi De Magistris (vedi intervista sul manifesto di oggi).

La redazione consiglia:
Acerbo (Prc): «Conte e Fratoianni, il terzo polo dipende solo da voi»

«Se una coalizione non raggiunge il 10% le liste che superano il 3 comunque eleggono – avverte Acerbo -Cosa perderebbero se non superano il 10%? Il recupero dei voti delle liste alleate che non aggiungono il 3%. Ma se non c’è coalizione quei voti non li avrebbero lo stesso. Quindi non perdono nulla».

Dunque, è il concetto di Acerbo, i dubbi sulla possibilità di un’aggregazione a sinistra sono tutti politici, non legati ai tecnicismi della legge elettorale.

La redazione consiglia:
È IN GIOCO LA NOSTRA DEMOCRAZIA