Ma Renzi chi se lo prende? E l’ingombrante Giggino dove lo piazziamo? Il tempo stringe, l’ultima parola deve essere detta presto.

Calenda la promette a breve: «Con il centro o con il Pd? Decideremo lunedì». Fratoianni non dà date ma anche per lui le lancette corrono. Dietro gli elevati problemi di schieramento politico serpeggiano quelli più terragni della distribuzione dei collegi sicuri, che per molti è il problema principale.

Ufficialmente Calenda ancora dubita: «La decisione di Letta di tenere dentro partiti che non hanno votato la fiducia a Draghi ed ex 5S non ci convince per niente». Però, aggiunge, «la legge elettorale è quella che è»: dovrebbe significare che la formula magica studiata da Letta, «alleanza elettorale», funzionerà.

Anche perché Emma Bonino, padrona del simbolo e dunque l’unica in grado di lanciare Calenda senza passare per il giogo della raccolta firme, così ha deciso.

E Renzi? La realtà è che nessuno è disposto a fargli spazio. Non il Pd, dove troppi sono i denti ancora avvelenati. Non Azione, perché Calenda un altro gallo, e di quelli con la cresta rosso fiamma, nel suo pollaio non ce lo vuole. Non il partito dei sindaci senza sindaci, insomma la formazione di Di Maio che ha Tabacci per mallevadore e Sala pronto a far da padrino purché non debba sporcarsi le mani.

Alla fine Renzi andrà da solo, combattendo per l’impresa quasi impossibile di capitanare la sua Iv oltre le colonne d’Ercole del 3%. Da solo ma quasi certamente almeno in coalizione.

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Letta è pronto al patto e a pagare un prezzo in termini di collegi sicuri. Renzi però è ingordo, ne vuole ben 6. Il leader del Pd non è disposto a concederne più di 3. Quanti ne ha promessi all’Europa verde di Fratoianni e Bonelli che peraltro portano qualche voto in più dell’ex premier e hanno una funzione strategica ben più importante.

Senza la foglia di fico a sinistra l’intera costruzione rischierebbe di crollare perché, «solo elettorale» o no che sia, l’alleanza apparirebbe comunque troppo sbilanciata a destra.

I problemi di Si, la metà rossa del «Cocomero», sono ben più profondi di quelli di Calenda, i dubbi più giustificati e dunque più reali.

Conte fa sapere che lui a una coalizione con i rossoverdi ci starebbe mentre senza di loro non c’è alleanza possibile.

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Per il partito di Fratoianni è una bella responsabilità l’affondare una possibile terza coalizione con un agenda di sinistra nel prossimo Parlamento mentre per i leggendari «territori» l’asse con figure come Calenda, Gelmini e Carfagna è un boccone molto indigesto. Ma l’alleanza con Letta è un porto sicuro., quella con l’ondivago e privo di potere decisionale Conte invece no.

Poi non è affatto detto che la componente verde, dove invece l’alleanza con il Pd e Calenda fila liscia come l’olio tanto alla base quanto al vertice, accetterebbe di spostarsi come se nulla fosse e senza i Verdi per Si le possibilità di passare la soglia del 3% nella quota proporzionale discenderebbero molti gradini e quelle di strappare 2 o 3 seggi nel maggioritario scomparirebbero per incanto.

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Di Maio, l’ultima ruota del carro (in ordine di apparizione per carità, honni soit qui mal y pense), dubbi sullo schieramento non ne ha. Sul seggio però è un altro discorso. Vuole Modena perché, insomma, se il seggio ha da essere sicuro che lo sia davvero e che sia dunque il più blindato di tutti. Anche se è a un passo da Bibbiano, paese che solo a nominarlo tra i nuovi alleati si diffonde l’imbarazzo molto peggio che con la proverbiale corda in casa dell’appeso.

Va da sé che il Nazareno prospetti collocazioni meno esose, magari Pomigliano, che in fondo oltre ad aver dato i natali al ministro degli Esteri, è anche zona nella quale gli ex forzisti passati a Calenda hanno un bel peso. Sicuro al 100% magari non è ma quasi.

Resta solo da vedere se il capo di un partito le cui possibilità di superare il 3% sono date dai bookmaker rasoterra, si accontenterà.