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Cluster bomb, le armi del passato che uccidono il futuro

Un carico di cluster bomb foto AnsaUn carico di cluster bomb – Ansa

Guerra in Ucraina Sono ben radicate nella memoria le conseguenze a lungo termine dell’uso di questi strumenti di guerra che, ancora oggi, dopo tanti anni, continuano ad esplodere in mani inermi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 12 luglio 2023

Per fermare Putin è meglio offrire all’Ucraina una road map dettagliata per entrare nella Nato? O, al contrario, questa mossa rischia di peggiorare le cose?

La domanda è al centro delle discussioni al vertice di Vilnius. Ma lo era già a quello di Bucarest: a conferma di quanto difficile sia capire qual è la «lezione ucraina».

Parafrasando il titolo di un celebre capriccio di Goya: il sonno della ragione genera mostri, potremmo dire che l’oblio della storia genera mostruosità.

Nel dibattito che si è aperto al vertice Nato sull’uso delle bombe a grappolo nel conflitto russo-ucraino, sino ad ora nessun leader è andato con la memoria alla guerra in Afganistan, quella subito dopo le torri gemelle, in cui i cosiddetti «aiuti umanitari» venivano sganciati dagli stessi bombardieri che lanciavano le bombe a grappolo, di colore quasi simile, che per questa ragione produssero migliaia di morti e soprattutto un numero imprecisato di mutilati per via dell’alta percentuale di ordigni inesplosi.

Certo nel caso del conflitto in atto nessuno penserà, come succedeva ai bambini afgani, e non solo, di recuperare aiuti di emergenza mentre di fatto innescavano delle micidiali bombe. La storia di quel conflitto, per le Ong umanitarie che l’hanno vissuto accanto alle popolazioni, è ben radicata nella memoria proprio per le conseguenze a lungo termine dell’utilizzo di quegli strumenti di guerra che, ancora oggi, a distanza di tanti anni, continuano ad esplodere in mani inermi.

Ora, è noto che né gli Usa né la Russia aderiscono al trattato contro le cluster bomb, con la differenza che i primi sono parte di una alleanza militare comprendente nazioni che, invece, come l’Italia o la Germania, la Gran Bretagna ed altri, la Convenzione l’hanno firmata ed intendono rispettarla.

E dunque qual è lo scenario che si offre dopo questa decisione unilaterale statunitense che, però, condizionerà di fatto tutti gli alleati atlantici? In altre parole, è possibile ristabilire la preminenza del diritto internazionale, ed al tempo stesso i giusti confini, la sicurezza reciproca dei contendenti, senza avvitarsi in una spirale che causerà non solo morti durante la guerra guerreggiata, ma una lunga teoria di altri lutti a causa di ciò che resterà conficcato nella terra ucraina e, a questo punto, probabilmente anche in quella russa?

Non è difficile immaginare, infatti, che ogni esplosione postuma potrà diventare un altro casus belli, impedendo così la stabilizzazione dell’area; e ancora, come può l’Ucraina mettere una ipoteca così forte sul futuro dei suoi stessi cittadini?

Il punto è che, come in un brutto romanzo distopico, la guerra sembra voler risolvere più certe questioni lasciate irrisolte nel passato, che costruire possibili assetti futuri.

Da una parte troviamo la Russia di Putin che cerca di riaffermare il suo ruolo di superpotenza erodendo pezzi di territorio sovrano che un tempo rientravano sotto la sua zona di influenza. Ma questo avveniva prima della caduta del muro di Berlino, ma anche prima che la Nato si espandesse ad est volendo chiudere con queste proiezioni verso il confine ex sovietico la partita apertasi con la Guerra Fredda.

Dall’altro lato della storia passata, ecco gli Usa di Biden, il cui obiettivo è speculare: affermare che quella guerra l’avevano vinta loro, e che dunque sono la sola superpotenza rimasta. Ma, anche qui, tutto ciò accadeva alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, prima che, solo dieci anni dopo, emergesse la centralità della Cina, i BRICS, e che molte nazioni latino americane governate da coalizioni di sinistra voltassero le spalle al gigante yankee.

Ecco dunque i termini remoti di una guerra tra due contendenti con la testa rivolta al passato, a riguadagnare antichi sogni di potenza, evidentemente ciechi dinanzi ad un quadro geopolitico profondamente cambiata per entrambi. E, ancora una volta, a fare le spese di questa arcaica contesa, è purtroppo il processo di integrazione europeo, con una Ue costretta a non agire autonomamente subendo così la decisione Usa sull’uso delle bombe a grappolo.

Anche il futuro del post conflitto non è roseo per gli stati dell’Unione: già oggi le cifre stimate per la ricostruzione dell’Ucraina sono stratosferiche, impossibili a trovare se non condizionando il futuro di quella nazione in modo permanente da parte di gruppi privati.

Una Ucraina così condizionata che aderisce prima alla Nato e poi alla Ue cosa potrà rappresentare per il processo di integrazione continentale oggi già molto accidentato? È da queste analisi oggettive sugli scenari futuri si deve dunque partire per attivare una seria azione diplomatica, che metta tutti di fronte, non alle rispettive velleità belliche, ma ad un concreto scenario post bellico in cui, se si prosegue su questa strada, nessuno potrà dirsi vincitore, se non delle macerie sulle quali siederà.

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