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Clotilde Bertoni, garbuglio politico e cuore nero di un processo farsa

Clotilde Bertoni, garbuglio politico e cuore nero di un processo farsaLouis Garrel in una scena di «L’ufficiale e la spia» di Roman Polanski, 2019

Tra Francia e sionismo Clotilde Bertoni torna sul caso che sconvolse la Francia alla fine dell’Ottocento, ribadendone la centralità storica e l’attualità: «Nel nome di Dreyfus», dal Mulino

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 25 febbraio 2024

Non solo il famoso «affaire Dreyfus» è stato il principale evento della vita politica francese, dalla nascita della Terza Repubblica alla prima guerra mondiale, ma fu certamente l’episodio politico-mediatico europeo più spettacolare del tardo Ottocento, decisivo nella formazione della società democratica di massa. Le false accuse di alto tradimento (spionaggio a favore della Germania) a carico del capitano Alfred Dreyfus e la lunga e contorta vicenda giudiziaria che ne seguì hanno infatti rappresentato un cruciale spartiacque e restano ancora attuali.

Mentre offre una ricostruzione storica attenta alla complessità di questa vicenda da tempo famosa, il corposo volume di Clotilde Bertoni – Nel nome di Dreyfus La storia pubblica di un caso di coscienza (Il Mulino, pp. 656, € 34,00) ne dimostra, appunto, l’attualità. Il caso Dreyfus – scrive l’autrice – è tra i casi mediatici e giudiziari «il più pirotecnico, disseminato di sorprese piazzanti, folto di conflitti». Vennero a galla, infatti, le manovre fraudolente a danno di Dreyfus dello Stato Maggiore, guida di quell’apparato militare che, uscito sconfitto dalla guerra del 1870 con la Germania (cui seguì la perdita dell’Alsazia e di parte della Lorena e l’umiliante sfilata delle truppe tedesche sugli Champs-Élysées), era stato anche il perno della espansione coloniale francese. Lo Stato Maggiore condivideva, infatti, con l’universo poliziesco la tendenza alla manipolazione dei documenti e alla torsione della verità a fini presuntamente statalisti, come avvenne nel caso della repressione del movimento comunardo prima, e di quello anarchico poi.

Superata a fatica la stagione segnata da un possibile ritorno alla monarchia e dalla spinta revanscista-militarista di Georges Boulanger, la Francia attraversò così, negli anni dell’affaire Dreyfus – tra il 1894 e il ’98 – un tornante cruciale, dove si sommavano spinte e controspinte, minacce alla legalità repubblicana e tensioni prodotte da atti di grande impatto pubblico, come l’attentato alla Camera (forse manipolato) dell’anarchico Vaillant.

Soprattutto, si vide l’opinione pubblica francese spaccarsi in due fronti, quello «dreyfusardo» e quello «antidreyfusardo», in un profondo rapporto di compartecipazione con la politica, destinato poi a trasformarsi in consuetudine. Oltre alla funzione decisiva della stampa, fu cruciale il ruolo svolto dagli intellettuali, com’è dimostrato dalla campagna condotta a favore di Dreyfus da Émile Zola e culminata nel famoso «J’accuse», un testo pubblicato sul quotidiano repubblicano-socialista «L’Aurore» il 13 gennaio 1898. Il giorno successivo, sullo stesso giornale, appariva una petizione di intellettuali firmata da metà dei professori universitari della Sorbona e da scrittori di grido fra i quali André Gide, Anatole France e Marcel Proust.

Il diffondersi di radicali sentimenti antisemiti (il capitano Dreyfus, ricco alsaziano, era di famiglia ebraica) ebbe anch’esso un ruolo decisivo, e d’altronde proprio questa vicenda avrebbe spinto Theodor Herzl a fondare il sionismo e a ipotizzare la formazione di uno stato ebraico del quale si adoperò, insieme a  Max Nordau, a diffondere l’idea. Ecco dunque che il cosiddetto «affaire Dreyfus», lungi dall’essere un avvenimento storico fra tanti, fu un caso capace di illuminare il futuro.

La svolta nella vicenda sarebbe stata segnata dal suicidio del principale accusatore, di Dreyfus, Hubert Joseph Henry, dallo svelamento della manipolazione documentaria a suo danno e dalla fuga in Inghilterra del vero colpevole di spionaggio a favore della Germania, il maggiore Esterhazy.  Mentre, alla fine della vicenda, l’esito fu la nascita del gabinetto di sinistra di Waldeck-Rousseau e l’emergere al primo piano di figure politiche di grande spessore (socialisti come Jean Jaurès, o radicali come Georges Clemenceau). E tuttavia, la vicenda Dreyfus sarebbe rimasta a lungo nella memoria pubblica come una ferita non rimarginabile.

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