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Civitavecchia rinnovabile non può attendere

Civitavecchia rinnovabile non può attendere

Energie pulite Lo sviluppo industriale in Italia passa per le rinnovabili, e posizioni contrarie sono inutili e pericolose. Un esempio ne è Civitavecchia, che da decenni ha contribuito in modo determinante alla […]

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 10 ottobre 2024

Lo sviluppo industriale in Italia passa per le rinnovabili, e posizioni contrarie sono inutili e pericolose.

Un esempio ne è Civitavecchia, che da decenni ha contribuito in modo determinante alla produzione energetica nazionale con le sue centrali, prima ad olio combustibile e poi a carbone, e che oggi deve gestire la dismissione dei 1980 MW della centrale Enel di Torrevaldaliga Nord. Un phase out che deve considerare una contropartita adeguata per la sua storia drammatica in termini di inquinamento e salute.

Ci si aspetterebbe un impegno forte delle istituzioni nazionali per l’ambiente, per il rilancio di uno sviluppo industriale, per la salvaguardia dei livelli occupazionali e per le agevolazioni sotto forma di compensazione per una città ed i suoi abitanti provati da un moloc che ha lasciato cicatrici profonde.

Sarebbe rispettoso del territorio che Enel fornisse un piano di dismissione inserito in una transizione “giusta”, che rispetti l’ambiente e possa creare opportunità per tutto l’indotto della centrale.

Dalla grande battaglia vinta dalle forze ambientaliste, dai sindacati e dalle forze politiche contro la centrale a carbone, si è giunti alla parte finale della storia, quella di realizzare una grande occasione di sviluppo, fondata sulle fonti rinnovabili di energia e sull’efficienza energetica.

Tavoli di coordinamento a parte, alla Presidenza del Consiglio o al Mimit, anche e soprattutto le strutture politiche ed industriali del territorio devono fare la loro parte per ripensare il modello di sviluppo di Civitavecchia e del suo porto. Ed è quello che sta accadendo, con l’industria del territorio consapevole delle opportunità fornite dalla transizione energetica, in questo caso in controtendenza con la recente posizione di retroguardia di Confindustria nazionale che considera “ideologica” la scelta rinnovabile, riproponendo anche a breve termine la opzione nucleare. Nulla di più concreto, invece, di più logico: l’eolico off-shore galleggiante è tra gli esempi più evidenti del potenziale industriale considerato soprattutto in favore della piccola e media impresa. E’ possibile infatti attivare in forma di filiera i settori chiave dell’economia italiana: materiali da costruzione, prodotti in metallo, meccanica avanzata, cantieristica, logistica dei porti, liberando posti di lavoro, e programmando riconversione occupazionale con una attività di formazione per la definizione di nuove competenze. La tecnologia dell’eolico off-shore già oggi prevede a Civitavecchia investimenti potenziali per 540 MW con un progetto in approvazione VIA ed investitori già pronti, con una joint venture italiana tra Plenitude, Cdp e Copenhagen Infrastructure Partners, che aspetta solo il via libera ministeriale, per consentire possibili interazioni con la filiera elettromeccanica di Civitavecchia, con le imprese attualmente presenti in città e anche con nuove start-up giovanili. La sfida è sostenere la tecnologia floating proprio per le caratteristiche dei nostri mari, che favoriscono strutture galleggianti in acque più profonde e con venti più forti, e quindi con maggiore potenziale energetico, con minori impatti sull’ambiente e sulla fauna marina, e maggiori distanze dalla costa. Sistemi galleggianti che assegnerebbero all’Italia un primato in campo internazionale, partendo da risorse finanziarie pubbliche, indirizzate in una strategia complessiva per spazi e infrastrutture portuali adeguati alle attività di assemblaggio, installazione e messa in funzione delle turbine. Invece, stallo totale.

Ecco perché a Civitavecchia si assiste con preoccupazione alle notizie provenienti dal governo. Il decreto del Ministero dell’Ambiente, che indicherà i porti prescelti per i cosiddetti hub, è atteso a breve, ma da quanto traspare i finanziamenti riguarderebbero solo il sud, Augusta, Brindisi e Taranto, con Civitavecchia esclusa da un budget che sfiora i 400 milioni di euro. Su questa partita l’amministrazione comunale ha rivolto una lettera aperta ai parlamentari del territorio per aiutarla a sostenere le proprie ragioni in tutte le sedi istituzionali: Civitavecchia avrebbe un potenziale ancora maggiore rispetto ai porti del sud, sia per la sua posizione centrale nel Tirreno, sia per la vicinanza con la Sardegna, dove sono previsti altri tre impianti di eolico offshore, due dei quali collegabili ad un eventuale hub nel porto di Civitavecchia. Inoltre si potrebbero riutilizzare le infrastrutture elettriche della centrale al servizio dell’offshore con riduzione importante dei costi di collegamento, e far risultare questa riconversione il fulcro di un distretto tecnologico rinnovabile che, oltre alla creazione di una filiera dell’eolico offshore, preveda l’uso delle tecnologie dell’idrogeno e la realizzazione di comunità energetiche. La volontà per un dialogo tra le parti ci sono, l’impegno della amministrazione comunale è forte: manca solo l’evidenza concreta di una volontà nazionale.

*Prorettore per la Sostenibilità, Sapienza Università di Roma

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