Il cinema italiano sarà sulla Croisette con tre film, tutti in corsa per la Palma d’oro, La Chimera di Alice Rohrwacher, Rapito di Marco Bellocchio, Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti. I nomi scelti sono quelli di autori che hanno col festival francese una consuetudine cresciuta nel tempo – Alice Rohrwacher ha iniziato il suo cammino internazionale proprio lì, partendo dalla Quinzaine con Corpo celeste (2011) per poi approdare alla competizione, Moretti è sempre montée de marches, Bellocchio ha ricevuto la Palma d’oro d’onore nel 2021 – e che hanno una cifra poetica e autoriale bella e forte, che sarà capace senz’altro di sorprendere il pubblico. Del resto la competizione di quest’anno unisce molte registe e registi che fanno parte della «famiglia» di Cannes, da Loach a Kaurismaki. Quello che un po’ dispiace è invece l’assenza di film italiani nelle altre sezioni, dal Certain Regard alla Quinzaine da quest’anno des Cineastes, alla Sémaine de la Critique fino a Acid: possibile che non ci fossero pronti un’opera prima – o un nome nuovo su cui scommettere per il futuro? Sembra strano e avremo certamente conferma del contrario nell’affollamento alla Mostra di Venezia che come ogni anno concentra un numero altissimo di titoli nazionali in qualsiasi sezione provocando una sorta di implosione e di reciproco oscuramento.

MONDI FANTASTICI
Cosa è che non ha funzionato allora? Difficile a dirsi, perché negli equilibri dei comitati di selezione sono tanti gli elementi che determinano le scelte, dalla composizione generale, agli equilibri tra titoli, ai gusti personali di chi sceglie, alla coproduzione – nel caso di questo di questo festival la presenza francese gioca un ruolo fondamentale, la maggior parte dei film hanno una partecipazione della Francia nella produzione. Ci sono poi questioni di strategie, in una politica festivaliera che anche nei festival più indipendenti sembra orientata a prendere sempre meno rischi.
I film in gara dunque, che scopriremo a Cannes, La Chimera e RapitoIl sol dell’avvenire è già nelle nostre sale da quasi un mese. Il primo, terzo lungometraggio di Alice Rohrwacher, che col precedente Lazzaro felice (2018) aveva vinto il premio per la sceneggiatura, e con il magnifico cortometraggio Le pupille è arrivata quest’anno nella cinquina degli Oscar, ha come protagonista un giovane inglese – Josh O’Connor (il principe Carlo in The Crown) – con una dote speciale: sa sentire il vuoto. Per questo è divenuto la preziosa guida dei tombaroli che in quella zona, tra Lazio e Toscana, scavano alla ricerca dei tesori etruschi, corredi e ricchezze archeologiche di grande valore lasciati nelle tombe per le anime dei morti. Con O’Connor c’è Carol Duarte, che era la splendida interprete per Karim Ainouz (anche lui in concorso con Firebrand sull’ultima moglie di Enrico VIII) in La vita invisibile di Euridice Gusmao (2019), e poi Isabella Rossellini, Alice Rohrwacher, e moltissimi altri. Alla fotografia ritroviamo Hélène Louvart, il montaggio è di Nelly Quitter. Scrive la regista nelle note di regia al film: «Nei luoghi in cui sono cresciuta mi capitava spesso di ascoltare storie di segreti ritrovamenti, di scavi clandestini, di avventure misteriose… La vita che mi stava intorno era costituita di più parti: una solare, contemporanea, affaccendata, una notturna, misteriosa, segreta. C’erano molti strati, e tutti ne facevamo esperienza: bastava scavare per pochi centimetri la terra ed ecco che tra i sassi appariva un frammento di manufatto, fatto da altre mani. Da che epoca mi stava guardando? Per questo ho deciso di fare un film che racconti questa trama stratificata, questo rapporto tra due mondi, probabilmente l’ultimo tassello di un trittico su un territorio che si interroga su una domanda centrale: che cosa fare del passato?».

IL CASO MORTARA
Rapito di Marco Bellocchio – che uscirà in sala il 25 maggio – prende spunto da Il caso Mortara di Daniele Scalise (Mondandori) in cui si ricostruisce la vicenda di Edgardo Mortara, un bambino ebreo che nel 1858 fu tolto brutalmente alla sua famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa Pio IX. La motivazione fu che il piccolo era stato battezzato, ma la battaglia dei parenti, che portò il caso agli occhi del mondo, aveva dimostrato che questa prassi era diffusa tra i poteri cattolici. Scritto dallo stesso Bellocchio insieme a Susanna Nicchiarelli (e la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli), montato da Francesca Calvelli e Stefano Mariotti, Rapito si snoda nell’arco di più decenni: la famiglia continua a lottare per riprendere il bambino che cresce nel con vitto religioso e nel segno di una fortissima educazione cattolica, intanto l’Italia cambia, siamo nel 1870 e l’esercito sabaudo entra a Roma ponendo fine al potere temporale della Chiesa.