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Cina, l’ong Queer Comrades: «Non esiste un dialogo con il governo né leggi contro la discriminazione»

Cina, l’ong Queer Comrades: «Non esiste un dialogo con il governo né leggi contro la discriminazione»

Cina L’organizzazione cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica con uno show-documentario trimestrale che tratta le diverse problematiche della cultura queer nel paese

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 luglio 2015

Stijn Deklerck, produttore cinematografico belga, lavora per Queer Comrades dal 2009. L’organizzazione cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica con uno show-documentario trimestrale che tratta le diverse problematiche della cultura queer nel paese, e più in generale lo sviluppo del movimento gay nel mondo. Queer Comrades precisa che lo scopo è accrescere la visibilità della comunità e seguire il suo sviluppo sia in Cina sia fuori dal paese.

Vi definite l’unica webcast duratura e indipendente cinese. Siete mai stati minacciati?
Abbiamo notato che ci sono dei gruppi d’odio, ma sono relativamente piccoli. Ci sono stati commenti negativi ai nostri video, ma sono abbastanza rari anche in relazione ad altri paesi. Se si parla di censura, ci sono stati episodi in cui alcuni siti non hanno voluto pubblicare i nostri video, ma decidono loro cosa pubblicare e cosa censurare.

Che rapporto avete con le autorità?
Non abbiamo rapporti con il governo, posto che non è ancora stata fatta una dichiarazione ufficiale sui diritti della comunità Lgbt. Sappiamo che è possibile operare ma una cooperazione con il governo si può creare solamente in ambito sanitario, quando si parla di Hiv/Aids, per le quali però ci sono organizzazioni più sviluppate

Avete mai preso in considerazione in problema delle homowives, o qualcuno si è mai rivolto a voi a riguardo?
Sì, abbiamo fatto un piccolo servizio sulle homowives, siamo al corrente della situazione e la reputiamo anche abbastanza complessa. Il problema però non è unilaterale: oltre ad esserci donne che sposano uomini gay senza essere al corrente del loro orientamento sessuale e viceversa, ci sono sia donne che lo fanno sapendo che i mariti sono gay, sia lesbiche che sposano gay come una sorta di accordo. Sono apparsi anche siti che organizzano questo tipo di matrimoni, ma non è di nostra competenza giudicare se siano tutti così, e vista anche la pressione sociale proveniente soprattutto dai genitori, possiamo dire che questa nuova organizzazione del nucleo familiare non è necessariamente dannosa.

Come pensa che sia cambiata la situazione riguardante i diritti della comunità Lgbt negli anni passati? Crede che la maggior parte di questa comunità abbia ancora difficoltà a fare outing?
Sì, la maggior parte della comunità deve ancora fare outing, almeno in alcuni contesti, come la famiglia o il lavoro. Se viene fatto al lavoro, si corre ancora il pericolo di essere licenziati, non essendoci nessun tipo di legge contro la discriminazione.

Quindi dipende dal contesto in cui si fa outing?
Nei paesi occidentali pensiamo che fare outing sia un evento momentaneo dopo il quale tutto il mondo è al corrente dell’orientamento sessuale dichiarato; è invece un processo continuo, benefico per la gestione dell’identità, il che significa che in alcuni contesti si farà outing ed in altri no (si può fare con amici e un datore di lavoro aperto mentalmente, ma non con la famiglia, o viceversa).

Dipende di caso in caso, e soprattutto da quale contesto è più sicuro, visto che la posizione neutrale mantenuta dal governo è costituita dalle «tre negazioni».

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