I dati che progressivamente giungono dalla Cina ci parlano di crescenti contraddizioni e difficoltà. Intendiamoci, difficoltà di un paese abituato a crescere a ritmi vertiginosi da decenni, ma a nostro avviso molto significative. Il Pil aumenta meno delle attese, si teme che a fine anno possa non raggiungere il +5%. Un dato di per sé ancora significativo visto dall’Europa, ma espressione di un rallentamento nonostante l’effetto rimbalzo dovuto all’esaurirsi dei blocchi produttivi per il Covid dello scorso anno.

I consumi interni ristagnano, la disoccupazione giovanile supera il 20% nelle aree urbane e il lavoro precario si diffonde, peggiorando la condizione delle nuove generazioni. Quest’ultime incominciano a possedere livelli di istruzione sovradimensionati rispetto alle esigenze del mercato del lavoro e in pochi anni hanno fatto precipitare i tassi di natalità (vuoi per il relativo benessere raggiunto, vuoi per un quadro di crescenti incertezze). Una bolla immobiliare a lungo sopita non sembra risolta. Gli investimenti nel settore hanno fatto segnare un -7,9% nell’ultimo semestre, contribuendo in maniera importante a deprimere il contesto. Il debito pubblico sembra veleggiare verso il 100% del Pil e quello privato risulta in affanno già da tempo (era al 193% sul Pil nel 2021 secondo il Fmi), facendo complessivamente registrare un ristagno degli investimenti. Anche le esportazioni faticano segnando un -12,4% a giugno, probabilmente in conseguenza anche delle tensioni crescenti con l’Occidente.

Ovviamente i numeri di un paese monocratico non sono del tutto trasparenti e affidabili. Si teme, ad esempio, che il debito pubblico sarebbe ben più consistente se si calcolasse anche quello delle amministrazioni locali. Ma al di là di una precisione a cui l’Impero Celeste non è abituato, quando non collima con i desiderata del Partito Comunista, possiamo affermare che le linee di fondo verso cui si sta muovendo Pechino risultano piuttosto chiare. A ben guardare sembra che i suoi dilemmi assomiglino sempre di più a quelli del mondo occidentale. Come se lo sviluppo cinese fosse stato realizzato a tappe forzate lungo un sentiero battuto in precedenza dai paesi con la più elevata ricchezza pro-capite, giungendo ora a dinamiche che ricordano i problemi dei paesi a capitalismo maturo. Oggi possiamo affermare che la Cina può specchiarsi nell’Occidente e, diversamente dal ritratto di Dorian Gray, i segni dell’invecchiamento appaiano sia nel protagonista sia nella sua copia dipinta.

Persino l’opzione di un capitalismo politico, cioè gestito dall’alto e con una mano visibile dello Stato, mostra segni di difficoltà in Cina, proprio quando in Occidente si inizia, più o meno consapevolmente, a guardare con qualche interesse quell’opzione per gestire le attuali contraddizioni. Proprio quando il ritorno dello Stato e di una mano pubblica interventista in economia fa capolino in ambienti politici ed economici sia di destra che di sinistra in Europa e negli Usa. Una tendenza che vede confrontarsi diverse visioni sul ruolo del pubblico.

Ciò che andrebbe rilevato è che le contraddizioni in campo nell’economia capitalistica trovano sempre meno una soluzione efficace su base nazionale, anche per un paese grande come la Cina e che non rinuncia a una certa pianificazione seppur centralmente dirigista. Le logiche della concorrenza e dell’accumulazione sembrano condurre verso una crescente difficoltà dell’espansione dell’economia, con conseguente rafforzamento della sua finanziarizzazione a partire da un indebitamento esponenziale, con un uso spregiudicato della leva nel mercato immobiliare, con stimoli monetari e fiscali per rimanere a galla. Tutti fattori che sembrano essere utili per prendere tempo, piuttosto che rappresentare una via d’uscita dalle difficoltà crescenti del capitalismo contemporaneo.