Non sono bastati cinquant’anni a sanare le ferite del passato. Alla vigilia dell’11 settembre, il Cile è un paese diviso: su tutto, anche sulla lettura del golpe del 1973. Secondo un recente rapporto del Cerc, il Centro studi sulla realtà contemporanea, più di un terzo dei cileni – il 36% – ritiene che i militari «abbiano avuto ragione» a rovesciare il governo di Salvador Allende e che Pinochet «abbia liberato il Cile dal marxismo». Appena dieci anni fa, a giustificare il golpe era solo il 16% della popolazione.

Ma è in particolare nell’ultimo anno che il revisionismo ha registrato un’impennata, proprio – paradossalmente – sotto il governo di Gabriel Boric, l’ex leader studentesco che era stato salutato da alcuni quasi come un novello Allende, o almeno come l’espressione dello «spirito di ottobre», cioè della rivolta sociale del 2019.
Da allora tutto è andato storto, dalla schiacciante bocciatura del testo della nuova Costituzione il 4 settembre del 2022 fino alla clamorosa vittoria dell’estrema destra il 7 maggio scorso. Un arco di tempo in cui ciò che era comunemente descritto come male assoluto – Pinochet e la sua dittatura – è stato relativizzato, giustificato o addirittura rivendicato.

Da qui l’elogio di Pinochet «statista» espresso dal repubblicano Luis Silva, il membro più votato del nuovo Consiglio costituzionale (da cui potrebbe uscire un testo ancora più a destra della costituzione di Pinochet). E da qui l’intervento della segretaria generale dell’Unión Demócrata Independiente (Udi) María José Hoffmann sulle «atrocità» del governo della Unidad Popular, «equiparabili» a quelle commesse dal regime militare, o la convinzione della sua compagna di partito Gloria Naveillán che le violenze sessuali sofferte dalle donne durante la dittatura siano una «leggenda metropolitana». Per non parlare della difesa del colpo di stato offerta dal deputato dell’Udi Cristián Labbé: «il golpe è avvenuto perché Allende è stato il peggior presidente della storia del paese e Boric si trova su questa via». Lo stesso deputato capace di giustificare le violazioni dei diritti umani con «l’inflazione» e «le code».

Non sorprende quindi che le destre abbiano deciso di disertare l’atto di omaggio a Salvador Allende in programma l’11 settembre alla Camera dei deputati, respingendo l’invito del governo Boric a sottoscrivere una dichiarazione congiunta per i 50 anni dal golpe: una sorta di impegno comune a favore della democrazia. «Non siamo disposti a partecipare a eventi che creino ulteriore divisione», ha dichiarato il presidente dell’Udi Javier Macaya, respingendo l’idea di «una verità ufficiale» sul colpo di stato.

E intanto, nella ricerca di un’impossibile base di consenso con le destre, il governo ha pure finito per dare l’impressione di annacquare le propria lettura dei fatti, alimentando le proteste di settori di sinistra.
Emblematico al riguardo il caso di Patricio Fernández, incaricato da Boric di coordinare le celebrazioni: le sue dichiarazioni relative alla presunta legittimità di diverse interpretazioni del golpe hanno sollevato reazioni così indignate da parte delle organizzazioni dei diritti umani da costringerlo alle dimissioni. «Si può continuare a discutere del perché avvenne e di quali ne furono le ragioni», aveva dichiarato in un’intervista, ma «ciò su cui potremmo trovare un accordo è l’inaccettabilità degli eventi successivi al colpo di stato». Ossia: si può discordare sul golpe, non sulle violazioni dei diritti umani che lo hanno seguito.

Sulla questione è intervenuto anche il presidente Boric, evidenziando come il golpe sia stato «criminale fin dal primo minuto» e accusando le destre di «retrocedere» rispetto al consenso che il paese aveva ormai raggiunto riguardo all’«impossibilità di giustificare un colpo di stato come mezzo per la soluzione di problemi politici». Salvo poi invitare anche lui la sinistra a «rileggere» l’originale esperienza di trasformazione sociale della Unidad Popular non «soltanto da una prospettiva mitica».

In assenza di una lettura forte e condivisa all’interno della maggioranza, l’opposizione ha così guadagnato ulteriore spazio, portando avanti la propria linea. A tal punto che, una settimana prima del lancio del calendario delle attività commemorative da parte del governo, le destre avevano già celebrato a modo loro l’anniversario del golpe, ottenendo che venisse letta alla Camera dei deputati, tra lo sventolio delle foto delle vittime della dittatura da parte della maggioranza, la risoluzione del 22 de agosto del 1973 in cui la Camera bassa denunciava una «grave rottura dell’ordine costituzionale e legale della Repubblica» da parte del governo Allende: un infame accordo tra destre e Democrazia cristiana correttamente interpretato dalle forze armate come un via libera all’esecuzione del golpe.