È morta giovedì scorso a Santiago del Cile Francisca Sandoval, giornalista del canale tv comunitario Señal 3 La Victoria, che era stata colpita da un proiettile in pieno volto durante la manifestazione del 1 maggio. Fuori dall’ospedale dove era ricoverata in gravi condizioni sono rimasti cartelli, fotografie, candele della lunga veglia che l’ha accompagnata per 12 giorni.
«Francisca non se n’è andata, è stata assassinata» scrive il suo collettivo della Señal 3 nel primo comunicato che annuncia il lutto.

MARCELO NARANJO è stato detenuto come colui che ha esploso il colpo di pistola che ha ferito a morte la giornalista, ma c’erano varie persone armate nel quartiere Meiggs, zona di negozi e commercio ambulante nel centro di Santiago, quando è scoppiato uno scontro al passaggio della manifestazione della Central Clasista de Trabajadores. L’analisi svolta dal periodico Ciper sulle videocamere di sorveglianza, insieme alle foto e i video dei partecipanti al corteo, ha identificato 11 soggetti che sparano, alcuni di loro conversano con i Carabineros nei pressi delle camionette. Anche se in maniera più lieve, oltre a Sandoval altre due persone sono state ferite dai proiettili il 1 maggio.

Il presidente Gabriel Boric ha condannato la normalizzazione della violenza nel Paese e ha affermato che avrebbe perseguito i responsabili con fermezza. Il sottosegretario del ministero dell’interno, Manuel Monsalve, ha chiesto un’indagine interna ai Carabineros, ma non ha dato direttive sugli arresti e la Procura ha determinato la detenzione solo per Naranjo, mentre per le altre due persone arrestate dalla Pdi (Policia De Investigaciones) ha chiesto i domiciliari, con sorpresa della giudice a carico, Paulina Moya, e nonostante uno di loro avesse un mandato d’arresto in corso e stesse infrangendo i domiciliari imposti per un’altra causa.

Queste misure cautelari hanno generato una forte indignazione, soprattutto se comparate con l’uso punitivo che è stato fatto del carcere preventivo durante la protesta sociale partita nell’ottobre 2019, in cui centinaia di ragazzi sono stati detenuti per mesi in attesa di un processo che in alcuni casi non si è ancora svolto, oltre due anni dopo. Altrettanto grave è stata l’apparizione in un programma mattutino del canale Chilevisión di Eduardo Bustamante, una delle persone fotografate nelle vie di Meiggs con un’arma in mano, che invece di essere tra gli indagati si è presentato come un commerciante del quartiere e ha dichiarato in televisione che maneggiava una pistola a salve come deterrente contro il pericolo di attacchi e saccheggi ai negozi da parte dei manifestanti.
Solo dopo la morte di Francisca Sandoval, i due arrestati ai domiciliari sono passati al carcere preventivo.

NON È LA PRIMA VOLTA che avvengono aggressioni armate di questo tipo nel quartiere Meiggs, lo scorso 25 marzo durante una manifestazione studentesca, un ragazzo di 16 anni è stato brutalmente picchiato da presunti venditori ambulanti, come quelli che hanno sparato il 1 maggio, sotto gli occhi dei Carabineros. Lo denuncia in un comunicato l’Associazione dei media indipendenti del Cile che richiede al governo «azioni concrete che non permettano l’installarsi dell’impunità» e segnali politici chiari: la riforma strutturale dei Carabineros e la rinuncia del direttore Ricardo Yañez sono parte delle rivendicazioni che hanno attraversato la rivolta cilena, ora dirette a Boric e al suo esecutivo.

IL 4 MAGGIO il generale Yañez è stato convocato dalla commissione per la sicurezza della Camera dei deputati, dove ha difeso i suoi sottoposti come vittime, ha descritto i fatti accaduti a Meiggs come «uno scontro tra chi voleva proteggere i propri locali commerciali e altri che volevano distruggerli per farci delle barricate» e non ha saputo spiegare perché i soggetti armati dialogavano con Carabineros.

È LA PRIMA VOLTA che una giornalista viene uccisa in Cile dal 1986, quando venne assassinato José Carrasco, negli ultimi anni della dittatura.
Mónica González, riconosciuta giornalista cilena, ha osservato che la morte di Sandoval «segna uno spartiacque, un prima e un dopo, pensavamo che in Cile non si ammazzassero giornalisti, e invece succede, e il peggio è che sono stati dati troppi segnali di impunità» ha concluso, facendo riferimento alla poca presenza della giustizia di fronte alla violenza, alla corruzione e agli