Non tutto è andato secondo copione, alle elezioni presidenziali in Cile: il candidato conservatore Sebastián Piñera è stato, sì, come ampiamente previsto, il più votato, ma solo con il 36.6% delle preferenze, almeno l’8% in meno di quanto indicato dai sondaggi: un risultato che rende un po’ più incerta la sfida con il candidato governativo di centro-sinistra Alejandro Guillier (22,7%) al ballottaggio del 17 dicembre.

MA LA SORPRESA VIENE, soprattutto, dall’affermazione di Beatriz Sánchez, a capo di una coalizione di sinistra con poco più di un anno di vita, il cui ingresso in Parlamento (dove Chile Vamos, il raggruppamento di destra, non potrà contare sulla maggioranza né alla Camera né al Senato) modificherà decisamente il quadro politico cileno: con il 20.3% dei voti, la candidata del Frente Amplio ha mancato per poco il ballottaggio, risultando indubbiamente penalizzata dagli ultimi sondaggi, che le attribuivano appena l’8,5% dei suffragi. «Se avessero detto la verità – si è giustamente lamentata – forse saremmo andati noi al secondo turno». Sarà lei comunque il vero ago della bilancia: pur non essendo affatto scontato un accordo con Guillier, la giornalista ha comunque assicurato che si «siederà a conversare» con il rappresentante della Fuerza de la Mayoría, su cui dovrebbero confluire comunque i voti ottenuti dalla candidata della Democrazia cristiana Carolina Goic, arrivata quinta con un deludente 6%.

Molto dipenderà poi da quanti, all’interno del frammentato universo della sinistra cilena, guarderanno a Guiller come a un male minore rispetto a Piñera. Già annunciato, invece, il sostegno a quest’ultimo da parte dell’altra sorpresa di questo processo elettorale: il candidato indipendente di estrema destra José Antonio Kast, forte di circa l’8% di preferenze dei nostalgici del regime militare, in linea con la sua convinzione che, se Pinochet fosse stato ancora vivo, avrebbe votato per lui.

IN OGNI CASO, come previsto e temuto, a dominare le elezioni cilene è stata l’astensione, arrivata al 53.9%, 3 punti in più rispetto al primo turno delle elezioni del 2013. E sarebbe andata probabilmente ancora peggio se le nuove regole elettorali, con il passaggio dal sistema binominale a un proporzionale moderato, non avessero favorito l’apertura a nuove forze politiche, come per l’appunto il Frente Amplio (non a caso paragonato da più parti allo spagnolo Podemos), rispetto al tradizionale e screditatissimo bipartitismo cileno.

CONSIDERANDO poi che difficilmente i mapuche e i loro alleati voteranno per uno dei due candidati arrivati al ballottaggio, ritenuti entrambi al servizio del capitale transnazionale e nemici dei popoli originari, è assai probabile che al secondo turno la partecipazione cali ulteriormente, avvicinando pericolosamente il Cile al paese senza nome del Saggio sulla lucidità di Saramago, in cui gli elettori decidono in massa di non esprimere alcuna preferenza, lasciando le schede bianche.