Per entrare nelle atmosfere più profonde, nella storia mai dimenticata che il Cile ha vissuto negli ultimi cinquant’anni, tornano in sala dall’11 settembre cinque magnifici film di Patricio Guzmán (per ZaLab e I Wonder con il patrocinio dell’Ambasciata del Cile in Italia): «Il mio paese immaginario» girato in occasione delle manifestazioni del 2019 per chiedere una nuova costituzione, Salvador Allende (2004), Nostalgia della Luce (2010), La Memoria dell’acqua (2015) e La Cordigliera dei sogni (2019). Ovvero tutto il sommerso della storia, il lungo lavoro della memoria sotto forma di poesia, di avvicinamento al misterioso paese.

Il fermento provocato dal cosiddetto «cinema di Allende», provocato dai cineasti cileni riuniti attorno al progetto politico di Unidad Popular iniziato a farsi sentire fin dagli anni Sessanta, era stato tanto potente nel mostrare il vero volto del paese ben diverso dalla moderna facciata che si voleva ostentare, era così presente negli scioperi e nelle manifestazioni, che il governo dei militari avrebbe voluto cancellarne ogni traccia e provò a farlo con arresti, torture e desaparecidos (come risultarono l’attrice Carmen Bueno e l’operatore Jorge Müller)
In realtà quello che sembrava un’onda interrotta di cinema diventò una testimonianza esplosiva che continua a farsi sentire ancora oggi nel nuovo cinema cileno che lavora come Larrain su interrogativi ancora aperti.
La chiusura delle scuole di cinema, il sequestro dei film e la distruzione dei negativi, provarono a cancellare tutto quanto era stato raccontato in più di dieci anni di documentari, l’inedita e potente arma politica, lavori che mostravano il vero volto di un paese che non si accorgeva neanche dello stato di miseria in cui erano ridotte le classi popolari, in cui le differenze di classe erano tanto profonde da non essere state del tutto superate ancora oggi.

Un centinaio circa di film furono realizzati fuori dal paese e tra i cineasti esiliati i più famosi furono Miguel Littin, Raul Ruiz, Patricio Guzman. Miguel Littin era considerato il rappresentante più autorevole dei cineasti per il successo ottenuto da El chacal de Nahueltoro (1969) il primo film con un protagonista proveniente dal popolo, disoccupato e analfabeta, che ubriaco, stermina la famiglia, in carcere finisce per prendere coscienza, impara a leggere e a scrivere, quando arriva la sentenza di morte.

Littin aveva stilato nel 1970 il «Manifesto dei cineasti di Unidad popular», un programma per sviluppare il cinema militante e sostenere la costruzione del socialismo, contrapporsi alla colonizzazione culturale nordamericana, che aveva il controllo delle sale e della televisione (oltre alla colonizzazione economica delle diverse compagnie). Incaricato da Allende a dirigere la Chile Films, sfuggì all’arresto perché al momento del golpe si trovava a Cuba dove terminò di montare «La tierra prometida». Ambientato a Palmilla, il suo paese natale, racconta della comune fondata nel 1932 dai campesinos, esperienza rivoluzionaria violentemente repressa, film con cui continuava la rilettura della storia del paese dal punto di vista delle classi popolari così come aveva indicato nel Manifesto. Il film fu proiettato poi in Cile solo nel 1991. Di un altro massacro in seguito alla rivolta dei minatori nel 1907 racconta in «Acta de Marusia», girato in Messico nel 1975, candidato all’Oscar come migliore film straniero, con Gian Maria Volonté tra i protagonisti.

Il ritorno di Littin in Cile in clandestinità nel 1985 per girare la situazione del paese sotto la dittatura fu un evento sensazionale, raccontato poi da Marquez in Le avventure di Miguel Littin, clandestino in Cile, con i settemila metri di pellicola da portare fuori dal paese per realizzare il documentario «Acta general de Chile», commovente messaggio per tutti gli esiliati in Europa.

Raul Ruiz, tra i primi a lavorare sui miti e i riti degli artisti e dei politici, era stato nominato dal partito comunista consigliere per il cinema del governo di Allende. Si persero le tracce del suo Palomita blanca, superproduzione da un famoso romanzo di Lafourcade dove una storia d’amore si sgretola per le differenze tra un ragazzo della classe alta e una popolana, sostenuto da un’infinità di sottigliezze e sottintesi. Il film era stato appena terminato nel 1973 al momento del golpe e fatto sparire. Si poté vedere solo nel 1991, grazie al ritrovamento del negativo. Raul Ruiz era già ben conosciuto dal pubblico dei cineclub dove si potevano vedere i suoi magnifici film che da Parigi, da Lisbona girava ininterrottamente, lettere dall’esilio che riuscivano a evocare lontananza. Ruiz aveva raccontato con il suo stile poetico gli artisti, la vita notturna, le differenze di classe con personaggi che si potrebbero trovare nei romanzi di Donoso o di Bolaño (Nadie dijo nada, Tres tristes tigres) e perfino il premonitore «La colonia penal» prendendo spunto dalla quantità di giornalisti arrivati da ogni dove in Cile dove per la prima volta al mondo un governo socialista era stato eletto democraticamente e che in poche ore pretendevano di sapere tutto, destreggiandosi in una struttura sorprendentemente piuttosto militarizzata. In esilio girerà più di un centinaio di film tra cui La vocation suspendue (1978), L’hypothèse du tableau volé (1979), Le tre corone del marinaio (1982) e La ville des pirates (1983), prima di accedere alle sue più conosciute grandi produzioni con le star più famose.

Ora che si potranno rivedere i film di Patricio Guzman in sala, bisognerà ricordare che fu tra i primi a organizzare negli anni ’70 una troupe di giovani tecnici e scendere in strada a girare quello che succedeva, e a realizzare La battaglia del Cile (1977), e con lui ricordare tutta la straordinaria epoca degli anni Settanta che ha dato origine a una ostinata resistenza, a dispetto di persecuzioni ed esilio.