Diciotto mesi di governo delle generazioni dei movimenti studenteschi, il processo costituente nel pantano, un paese diviso a cinquant’anni dal golpe di Pinochet. Cile, a che punto è la notte? Ne abbiamo parlato con Claudia Heiss, direttrice della facoltà di Scienze politiche della Universidad de Chile e ricercatrice di teoria politica e costituzionalismo. La sua ultima ricerca, Gender and deliberative constitution-making, mette a confronto l’esperienza delle organizzazioni di donne in Cile e in Europa nella creazione di leggi. Heiss, 51 anni, è un’accademica femminista e ha fatto parte della Comisión Técnica para el proceso constituyente che nel 2019 ha elaborato le modifiche costituzionali che hanno permesso di avviare il processo costituente in corso.

Il prossimo 11 settembre saranno passati cinquant’anni dal golpe militare che ha posto fine all’esperimento della «via cilena al socialismo». Come si vive questo anniversario?
È un anniversario triste. Siamo in un momento di poco supporto alla democrazia, come mostra l’ultimo sondaggio di «Latinobarómetro». In Cile, come in quasi tutta l’America latina, si è ridotto il sostegno alla democrazia (-2% rispetto al 2020) ed è aumentato il sostegno ai regimi autoritari (+4%). Oggi l’agenda è dominata dai temi dell’ordine pubblico, da una domanda di sicurezza. La gente che sostiene il golpe è aumentata, le persone reinterpretano il passato in funzione del presente. Quello della democrazia è un cammino accidentato.

Nel settembre 2022 la maggioranza dei cileni ha respinto il testo costituzionale elaborato dall’Assemblea eletta dai cittadini e che avrebbe dovuto sostituire la carta di Pinochet. Da allora si è avviato un cammino alternativo, un comitato di esperti ha elaborato un nuovo testo costituzionale. A che punto è questo processo?
Con la pandemia, l’inflazione e la crisi sicurezza, il pendolo si è spostato a destra. Nel centro di Santiago si vedono ancora le cicatrici della protesta del 2019, ci sono i negozi chiusi e danni agli spazi urbani. Anche i tanti che avevano sostenuto l’estallido, dopo un po’ volevano tornare alla normalità. Nel marzo 2023, il Partido Republicano di estrema destra ha ottenuto la maggioranza nel Consiglio costituzionale, l’organismo che deve modificare il testo di costituzione redatto dalla commissione di esperti. Questo testo andrà a referendum il prossimo 17 dicembre. E, secondo i sondaggi, verrà respinto.

La costituzione vecchia è stata bocciata ma resta in vigore, una nuova non si riesce a scrivere. C’è un problema costituzionale in Cile o è solo un dibattito accademico?
C’è un problema di legittimità, ma va detto che la Costituzione in vigore non è più quella della dittatura. Ci sono stati progressi che hanno aumentato gli spazi democratici. Ma questi progressi valgono i trenta morti e 400 feriti oculari che ha lasciato l’estallido del 2019?

Si era pensato che l’«estallido» del 2019, la protesta sociale che ha innescato il processo per superare la Costituzione adottata durante la dittatura militare, potesse portare sangue nuovo alla democrazia cilena.
La forza della protesta del 2019 si è schiantata contro le capacità del sistema di dare risposte istituzionali. Le domande progressiste erano troppe. Le femministe venivano da anni di risentimento. Pensa che fino al 2004 non avevamo il divorzio, fino al 2017 non si poteva abortire legalmente. Abbiamo avuto un’Assemblea costituente con rappresentanti monotematici, una società civile che voleva sostituire la classe politica, senza averne la forza. I movimenti avevano una spinta antipolitica, quando un movimento è antipolitico è difficile dargli una risposta politica.

Qual è il bilancio del governo Boric in questi 18 mesi alla Moneda?
Il lavoro del governo è molto difficile, è il tipico caso di un esecutivo senza maggioranza parlamentare. Ma c’è di più. La destra cilena è recalcitrante al dialogo, con il processo costituente è diventata più dura che in passato. Il governo è sotto attacco costante delle grandi imprese e della stampa mainstream.

Fin qui le difficoltà. Quali i risultati?
In politica estera, Boric si è caratterizzato come presidente di sinistra che non si allinea ideologicamente con la sinistra a tutti i costi, come nel caso della condanna delle violazioni dei diritti umani in Nicaragua. E poi i risultati concreti sulle politiche sociali e i diritti: il copago zero Fonasa (l’assistenza sanitaria gratuita per le persone povere) e la promozione della salute mentale; l’aumento del salario minimo a 500 mila pesos (circa 530 euro), annacquato dall’inflazione; la riduzione della settimana lavorativa a 40 ore. E risultati concreti sull’obbligo del pagamento degli alimenti, una bandiera dell’agenda femminista.

Boric governa insieme a una generazione nata tra le manifestazioni studentesche. L’alleanza che lo sostiene, il Frente Amplio (FA), è una rottura con la sinistra della transizione alla democrazia degli anni ‘90, la Concertación. La generazione del FA accusava la vecchia di essere troppo moderata. Che ne è di quella critica?
C’è una moderazione della critica. «Rappresentare il malessere sociale è più facile che risolverlo», ha detto il presidente Boric alle Nazioni unite. Il FA adesso è l’élite e c’è un avvicinamento ad alcuni settori più di sinistra della vecchia Concertación, come il Partido Socialista. La Concertación era una coalizione più ampia, con un polo legato agli imprenditori di destra. Il FA mi sembra più orientato a sinistra, come l’opzione per l’universalità dei servizi pubblici e la partecipazione popolare.