Ciafani: «Il governo punta sul nucleare sostenibile, un ossimoro»
Intervista Il governo avvia la Piattaforma nazionale per produrre energia dall'uranio. Il presidente nazionale di Legambiente: «Il Forum internazionale sui reattori di quarta generazione è partito vent’anni fa, se una ricerca in due decenni non produce risultati una riflessione andrebbe fatta»
Intervista Il governo avvia la Piattaforma nazionale per produrre energia dall'uranio. Il presidente nazionale di Legambiente: «Il Forum internazionale sui reattori di quarta generazione è partito vent’anni fa, se una ricerca in due decenni non produce risultati una riflessione andrebbe fatta»
L’appuntamento è per oggi al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica dove si terrà la prima riunione della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. È il sogno del centrodestra riportare in vita un programma che gli italiani hanno bocciato con due referendum (1987 e 2011). L’esecutivo punta «allo sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale e a elevati standard di sicurezza e sostenibilità». Gli studenti hanno indetto per oggi un flash mob davanti al Mase. Legambiente, WWF, Greenpeace e Kyoto Club hanno bocciato il piano: «Il governo sta sbagliando strada» spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.
Il nucleare sostenibile esiste?
Ad oggi è un ossimoro. Il reattore di terza generazione avanzata in costruzione a Flamanville in Francia e quello di Olkiluoto in Finlandia sono sicuramente più sicuri delle generazioni precedenti e ci mancherebbe altro visti gli incidenti di Chernobyl, Fukushima o Three Mile Aland negli Usa. Ma restano tutti i problemi relativi alle scorie radioattive. Poi c’è il tema degli investimenti: Flamanville e Olkiluoto sono costati il quadruplo rispetto alle stime e i tempi di realizzazione sono stati molto più lunghi. Ad esempio la fine dei lavori in Francia era prevista per il 2014, la nuova data è il 2024; doveva costare 5 miliardi, ha superato i 19.
Oltre il 91% dell’uranio arriva in Europa da Kazakhstan, Niger, Canada e Russia.
Non sono reattori auto fertilizzanti, hanno cioè bisogno di nuove barre di combustibile e l’uranio deve essere preso in giro per il mondo. Servono poi le acque di raffreddamento quando in Italia abbiamo i fiumi in secca. Inoltre è un sistema che si basa sulla centralizzazione della produzione, un modello da cui ci stiamo finalmente liberando. Avevamo poche centrali termoelettriche, oggi possiamo contare 1.200.000 impianti distribuiti per la penisola con circa 1,3 milioni di produttori. Tornare alla centralizzazione non conviene al paese e neppure alle imprese.
Il Mase vuole investire nella formazione universitaria e nella ricerca sul nucleare.
Il Forum internazionale sui reattori di quarta generazione è partito vent’anni fa raggruppando aziende e Paesi che hanno investito sul nucleare. Abbiamo impiegato solo sette anni per arrivare sulla luna, se una ricerca in due decenni non ha prodotto risultati concreti qualche riflessione andrebbe fatta.
Dopo un anno di governo, dove siamo rispetto alle politiche energetiche?
Meloni ha iniziato il suo percorso da premier affermando che il Centro Sud sarebbero diventati l’hub delle rinnovabili del paese. Poi è intervenuto qualcuno e la narrazione è cambiata: l’Italia doveva diventare l’hub dell’Europa attraverso il Piano Mattei così dalle rinnovabili, sole e vento, siamo tornati al gas, in continuità con l’esecutivo Draghi. Ci stiamo legando ad Algeria, Libia, Qatar, Azerbaigian, Usa, Canada ed Egitto, con buona pace della memoria di Giulio Regeni. Il Nordafrica non è molto più stabile o democratico del continente asiatico o della Russia.
È realistico puntare sulle rinnovabili?
La Germania si è posta l’obiettivo di produrre il 100% di elettricità da fonti rinnovabili entro il 2035 avendo lo stesso vento che abbiamo noi ma con molto meno sole. Il Piano nazionale integrato Energia e Clima dice che al 2030 dobbiamo produrre due terzi da rinnovabili e un terzo da fossili. Oggi siamo a un terzo da rinnovabili e due terzi da fossili. L’obiettivo che abbiamo è quindi modesto. C’è anche una certa preoccupazione sul decreto relativo alle aree idonee, in discussione in Conferenza Stato-Regioni, perché limita troppo l’eolico e l’agrivoltaico.
E poi c’è il piano di adattamento climatico.
Fermo per tre governi di fila, il ministro Pichetto Fratin almeno ha fatto ripartire l’iter dopo la tragedia di Ischia ma non l’ha chiuso. Ci sono 361 azioni in quel piano ma nell’ultima manovra sono stati previsti zero euro e credo che avverrà lo stesso nella prossima. Eppure stiamo spendendo alcuni miliardi per ricucire le ferite dell’alluvione in Emilia Romagna.
Come siamo messi sulla transizione ecologica?
Ci sono tanti luoghi in cui stanno avvenendo fatti concreti e noi li stiamo visitando con la campagna Cantieri della transizione ecologica. Le cose vanno avanti su rinnovabili, economia circolare, mobilità sostenibile, sulla riconversione industriale. A Roma a inizio dicembre ci sarà il dodicesimo congresso di Legambiente, titolo L’Italia in cantiere: vogliamo parlare dei cantieri da aprire e chiudere nei prossimi quattro anni per concretizzare la transizione ecologica, con buona pace di chi dice che la transizione va fatta ma lentamente.
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