Il primo ministro, Gabriel Attal, ha presentato le dimissioni. Emmanuel Macron le ha respinte per “la stabilità del paese” e permettere al governo di continuare a gestire gli affari correnti, almeno durante il periodo delle imminenti Olimpiadi di Parigi. Dopo il grande sollievo della serata di ieri, il successo del “fronte repubblicano”, dei “castori” che hanno costruito lo sbarramento abbastanza alto per impedire l’arrivo del Rassemblement National al potere, arrivato in terza posizione, dietro il Nuovo Fronte Popolare che è in testa seguito da Ensemble, la Francia conferma la divisione in tre blocchi, di dimensioni non molto diverse, 190 seggi per la sinistra, 168 per l’area Macron, 143 per l’estrema destra.

Il sollievo per la sconfitta del Rassemblement National non fa dimenticare al mondo politico che l’estrema destra cresce enormemente e che si apre un periodo di forte instabilità nel paese.

Nel Nuovo Fronte Popolare sono subito iniziati i negoziati, prima di tutto per indicare il nome di un primo ministro. Potrebbe essere reso noto “in settimana” precisano Verdi e Ps. Macron ha deciso di prendere tempo, “aspetteremo la strutturazione dell’Assemblée Nationale” ha affermato, cioè il 18 luglio, il giorno della prima seduta, si vedrà più chiaro su quanti gruppi si formeranno, con quale peso, con quali possibilità di cooperazione, visto che nessun blocco ha la maggioranza assoluta.

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Non è ancora chiaro se ci sarà un grande gruppo Nuovo Fronte Popolare oppure le sue componenti si divideranno in formazioni diverse e con un equilibrio un po’ modificato rispetto all’Assemblea uscente (Lfi ha perso un po’ di egemonia, il Ps raddoppia quasi i seggi, i Verdi crescono).

Domenica sera, il leader della France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon è intervenuto per primo, in tutta fretta ha ingiunto a Macron di “inchinarsi”, al primo ministro di “andarsene” e ha affermato che “nessun sotterfugio” sarà “accettabile” per la sinistra: ha escluso un’eventuale alleanza con Ensemble e affermato che il Nuovo Fronte Popolare applicherà il suo programma e nient’altro. Per Mathilde Panot di Lfi, Mélenchon ha tutti i numeri per essere primo ministro. Ma non è un’opinione condivisa tra le altre forze del Nuovo Fronte Popolare. Clémentine Autain, dissidente di Lfi, afferma che il primo ministro designato dal Nfp non sarà “né Mélenchon né Hollande”. I Verdi parlano di ricerca di compromesso. Marine Tondellier, segretaria di Europa Ecologia, vuole superare l’approccio tradizionale e parla della possibilità di una “maggioranza di progetto”, a partire da “una domanda semplice: chi nelle forze repubblicane è pronto a sostenere il nostro programma?”.

Voci diverse dal campo socialista, il segretario Olivier Faure esclude il nome di Mélenchon, “troppo divisivo”, per Raphaël Glucksmann “bisognerà comportarsi da adulti”, è necessario “un cambio di cultura politica” nella V Repubblica, giunta a un momento di svolta. A Ensemble cercano contatti con i Républicans (Lr), che sono riusciti a salvare un gruppo di 45 seggi, malgrado la scissione pro-Rn dell’ex presidente Eric Ciotti. Ma Laurent Wauquiez, che già pensa alle presidenziali del 2027, respinge ogni intesa con Ensemble, per non compromettere la sua prossima corsa per l’Eliseo.

Il presidente del Senato, Gérard Larcher, si inquieta per l’“instabilità politica molto dannosa per la Francia” che il paese ha di fronte. Cattivi perdenti al Rassemblement National: per Jordan Bardella, che ha visto andare in fumo l’ipotesi di diventare primo ministro, ha vinto “l’alleanza del disonore” tra Macron e la sinistra. Per Marine Le Pen la “vittoria è solo rimandata”, perché “la marea cresce”, anche se “questa volta non è cresciuta abbastanza”.