Da Milano riparte il movimento per la chiusura di tutti i Cpr italiani. Il messaggio che questa manifestazione manda al resto del paese e al governo Meloni è sintetizzato nello striscione d’apertura: «No Cpr, no lager di Stato, né a Milano né altrove, né in Libia né in Albania». Attorno alla rete Mai Più Lager – No ai Cpr che ha promosso la manifestazione milanese si sono aggregate realtà storiche della attivismo antirazzista e nuovi collettivi. Un movimento che si è rinnovato anagraficamente e dove si affacciano i giovani di seconda generazione.

IERI A MILANO c’erano almeno 5.000 persone per un corteo che si è mosso dal centro della città fino a via Corelli, ad alcune centinaia di metri dal Cpr. In mezzo le camionette della polizia e dei carabinieri a sbarrare la strada. Chissà se dentro a quelle mura sono riusciti a sentire almeno la musica diffusa dal camion, i cori, per sentirsi qualche minuto un po’ meno soli e abbandonati. La manifestazione si è mossa a tappe, ad ogni stop interventi e rappresentazioni sceniche, teatrali, sulle varie questioni che riguardano i Cpr: dalla distribuzione degli psicofarmaci – usati nei Cpr per stordire i migranti – alla compilazione di richieste d’asilo impossibili, i fogli di via, il racconto dei sempre più frequenti atti di autolesionismo. Negli interventi dal camion sono state ricordate alcune delle persone morte nei Cpr in questi anni e due suicidi recenti: Moussa Balden nel Cpr di Torino e Ousmane Sylla in quello di Roma. Una ragazza italo-albanese, Alexia Malaj del collettivo di albanesi in Italia Zanë, ha ricordato gli accordi del governo Meloni con il premier albanese Edi Rama per costruire due Cpr in Albania: «Accordi coloniali» li ha definiti. Interventi anche dai confini est e ovest italiani, Trieste e Ventimiglia, dove i migranti rischiano la vita nella rotta di terra balcanica e lungo i sentieri di montagna.

FOLTA LA PRESENZA palestinese, tantissime le bandiere, la comunità palestinese aveva trasferito qui la consueta manifestazione milanese del sabato. “Palestina libera” è stato uno dei cori più urlati. Una rappresentante dei giovani palestinesi italiani ha ricordato il 25 aprile che si avvicina: «Faremo vedere che Milano sta a fianco del popolo palestinese» ha detto dal camion. Tra gli interventi non è mancato un richiamo anche al sindaco di Milano Beppe Sala: «Per quanto tempo farà ancora finta di non sapere quello che succede dentro al Cpr della sua città?». I manifestanti hanno chiesto alla giunta di centrosinistra che amministra la città di schierarsi con chi chiede la chiusura dei centri. Presenti in corteo anche associazioni, le Ong dei salvataggi in mare Mediterranea e ResQ People, i Sentinelli, il Naga, qualche bandiera dei partiti di sinistra.

«I Cpr non sono riformabili, non si possono aggiustare» hanno ribadito i promotori della manifestazione. A 25 anni dalla loro nascita «vanno chiusi tutti». Per gli attivisti il Cpr di Milano è la prova che sono luoghi che non si possono raddrizzare: pur essendo sotto inchiesta della procura di Milano da dicembre 2023, commissariato a gennaio e dal primo febbraio con una nuova direttrice pro tempore – in attesa che la Prefettura faccia il nuovo bando di gestione – le cose non sono cambiate, anzi. Febbraio e marzo hanno registrato un boom di atti autolesionismo, come documentato da una recente ispezione fatta dal consigliere regionale Luca Paladini insieme al medico Nicola Cocco. Significa persone che si rompono un braccio o una gamba per finire in ospedale, o che ingoiano lamette, calcinacci, pezzi di vetro per farsi dimettere.

«IL CPR NORMALIZZA la violenza e disumanizza le persone», hanno detto gli attivisti. A normalizzarsi è anche la convivenza con questi luoghi, Milano si muove sostanzialmente indifferente rispetto a quanto succede nel Cpr e solo il lavoro d’inchiesta degli attivisti ha permesso di bucare quelle mura. Per la rete No Cpr l’obbiettivo ora è mantenere alta la mobilitazione a livello nazionale. «Milano è il Cpr più illuminato, quello dal quale sappiamo più cose grazie al lavoro fatto in questi anni» racconta l’attivista Teresa Florio. «Altrove le cose vanno anche peggio ed è lì che bisognerà intervenire».