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Chiesto l’ergastolo per Abdeslam, il processo Bataclan nella fase finale

Chiesto l’ergastolo per Abdeslam, il processo Bataclan nella fase finaleIl cantante degli Eagles of Death Metal Jesse Hughes e il chitarrista Eden Galindo in tribunale a Parigi – Ap

13 novembre 2015 Il principale imputato, l’unico sopravvissuto del commando che sette anni fa ha ucciso 130 persone, in questi 9 mesi è rimasto chiuso in se stesso, tra invettive e silenzi. La sentenza è prevista a Parigi per il 29 giugno

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 11 giugno 2022

L’ergastolo, con una pena incompressibile (cioè con quasi nessuna possibilità di essere alleggerita), per Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto del commando che ha seminato la morte a Parigi la sera del 13 novembre 2015. Ergastolo anche per gli altri tre principali imputati: Mahamed Abrini, l’«uomo con il cappello» dell’aeroporto di Bruxelles, il secondo sopravvissuto del «convoglio della morte» che ha aiutato Abdeslam nella fuga, come per Sofian Ayari e Osama Krayem, considerati complici. Ergastolo anche per i 6 accusati non presenti al processo, uno incarcerato in Turchia, mentre gli altri 5 potrebbero essere morti. Pene da 5 a 8 anni per chi ha collaborato alla logistica della fuga di Abdeslam, da 6 a 10 anni per gli imputati che hanno aiutato alla preparazione degli attentati, che hanno causato la morte di 131 persone e il ferimento di più di 400, in tre attacchi, dallo Stade de France a 5 bar-ristoranti del 10° e 11° arrondissement e al Bataclan. Vent’anni per i due imputati del commando dello Stade de France. Sono le pene richieste dei tre pm, per i 14 imputati presenti e i 6 assenti, avanzate ieri nell’aula bunker di 750 metri quadrati costruita ad hoc all’interno del cortile del vecchio Palazzo di giustizia dell’Ile de la Cité.

Con le richieste di pena di ieri, si è avviato l’inizio della fine del processo storico per gli attacchi della sera del 13 novembre 2015 a Parigi, iniziato l’8 settembre 2021.

La prossima settimana sarà il tempo della difesa. La sentenza è prevista per il 29 giugno, un po’ più di un mese dopo il previsto, perché il processo, durato 9 mesi, ha subito delle interruzioni a causa del Covid. I tre magistrati della Procura – Camille Hennetier, Nicolas Braconnay e Nicolas Le Bris – hanno parlato per quindici ore, per cercare di riassumere i 9 mesi di udienze, per stabilire il ruolo di ognuno degli imputati nella «meccanica infernale» che ha sconvolto Parigi la sera del 13 novembre di sette anni fa. Al processo partecipano 2.500 pari civili, che, secondo Camille Hennetier, hanno mostrato «lo specchio rovesciato» degli accusati, «quello di persone aperte e tolleranti di fronte all’oscurantismo». Per la pm, questo processo ha permesso di «pensare» e anche di «medicare» (penser e panser si pronunciano allo stesso modo).

Ci sono state le testimonianze drammatiche, le evocazioni della vita attuale dei bambini lasciati orfani, le interrogazioni senza risposta, i ricordi delle persone uccise nella sequenza dei tre attacchi della tragica serata, partiti dallo Stade de France per poi colpire i 5 bar-ristoranti del 10° e 11° arrondissement e infine il Bataclan.

I testimoni sono venuti da molte parti del mondo, le vittime provenivano da una trentina di paesi. Sono stati chiamati a testimoniare l’allora presidente della Repubblica, François Hollande, e il ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve. Sono venuti il cantante e il chitarrista degli Eagles of Death Metal, che suonavano quella sera al Bataclan. Sono intervenuti degli psichiatri.

La «giustizia razionalizza ciò che sembra irrazionale» ha detto un giudice. Ma nove mesi di questo processo storico non hanno evidentemente portato una risposta alla domanda: perché? C’è una verità nella giustizia, ma non «la» verità, ha avvertito un magistrato. «Salah Abdeslam non ha detto niente che ci permetta di saperne di più, non ci ha detto niente per capire gli avvenimenti», ha ammesso Le Bris.

Il principale imputato, appartenente alla cellula di Molenbeek, dal nome del quartiere popolare di Bruxelles, è rimasto chiuso in se stesso, tra invettive e silenzi. «Non ha mai espresso il minimo rimorso», hanno sottolineato i magistrati. Perché la Francia? La giustificazione di alcuni imputati, che hanno evocato la partecipazione della Francia a bombardamenti in Siria, non spiega nulla. Cosa ha spinto a unirsi in questi attacchi criminali degli individui venuti da paesi diversi, con passati differenti? La questione della «radicalizzazione» jihadista, un concetto che i magistrati hanno definito «impreciso», è stato al centro della problematica del processo. «Coloro che hanno commesso questi crimini non sono altro che dei volgari terroristi, dei criminali», ha detto Nicolas Le Bris. Camille Hennetier non si fa illusioni «su cosa rappresenti il tempo carcerale», ma il carcere resta «la sola soluzione per proteggere la società». A Parigi, nel 2025 verrà inaugurato un giardino in memoria delle vittime del 13 novembre.

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