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Chiesti 40 anni di carcere per “Chepe”, voce scomoda del Guatemala

Chiesti 40 anni di carcere per “Chepe”, voce  scomoda del GuatemalaCittà del Guatemala, 30 maggio 2023. L’arrivo in manette di José Rubén Zamora Marroquín, detto Chepe, in tribunale – Simona Carnino

Stretta sulla libertà di stampa in vista del voto Processo farsa all’ex direttore di "ElPeriódico", ex secondo giornale più letto del paese. Fatali le inchieste sulla corruzione che chiamavano in causa il presidente Giammattei

Pubblicato più di un anno faEdizione del 2 giugno 2023
Simona CarninoCittà del Guatemala

Fuori dal palazzo di Giustizia di Città del Guatemala qualcuno urla: Fuerza Zamora, Fuerza! La voce proviene da dietro un taxi e scompare come un eco.

José Rubén Zamora Marroquín, detto Chepe, 66 anni, giornalista guatemalteco riconosciuto a livello nazionale e internazionale per centinaia di inchieste contro la corruzione nel Paese, sorride e prova a superare con lo sguardo il limite imposto dalle guardie penitenziarie che lo scortano, in cerca della bocca da cui arriva quell’incoraggiamento. Le mani ossute chiuse in un paio di manette stringono una cartellina di documenti e gli occhiali che ha messo e tolto innumerevoli volte, mentre ascoltava la requisitoria del Pubblico ministero che il 30 maggio ha chiesto per lui 40 anni di carcere per riciclaggio di denaro, per una somma di circa 35mila euro, ricatto e traffico di influenze, di fronte alla giudice Oly González, titolare dell’Ottavo Tribunale di Sentenza Penale dell’organismo di giustizia guatemalteco.

Quarant’anni sono il massimo della pena possibile per questi crimini, aggravati dal reato di oltraggio nei confronti di Rafael Curruchiche, direttore della Fiscalía Especial contra la Impunidad (Feci) che ha in carico l’indagine nel caso di Zamora e Consuelo Porras procuratrice generale della stessa, due personalità controverse in quanto segnalate nella lista di persone straniere «impegnate in azioni che minano processi o istituzioni democratiche, in atti di significativa corruzione o di ostruzione delle indagini su di essi» dal Dipartimento di stato degli Stati Uniti.

Zamora dal canto suo, sostenuto dall’avvocato difensore Joel Reyes, che da poco ha assunto l’incarico dopo che i primi tre legali sono stati destituiti per ostruzione alla giustizia, rigetta tutte le accuse, ribadendo che non ha nulla a che fare con i reati imputatigli. «Le richieste del pm sono devastanti. Io non ho mai riciclato denaro e le prove ci sono, solo che non sono state prese in considerazione. In questo Paese non danno 40 anni di carcere neanche per gravi crimini di narcotraffico. Si tratta di una reale volontà di colpirmi e distruggermi».

La sentenza definitiva verrà emessa il 14 giugno ma è un dato di fatto che 40 anni di carcere aleggiano come uno spettro nel futuro del giornalista forse più famoso e agguerrito del Guatemala, paese in cui molto spesso la giustizia ha fatto deroghe e concessioni a dittatori, politici corrotti e organismi criminali. Una pena enorme per un reato che, anche fosse provato, è imparagonabile, per esempio, al crimine di genocidio per cui il dittatore guatemalteco Efraín Ríos Montt era stato condannato nel 2013 a 50 anni di carcere, mai scontati per via del successivo annullamento della sentenza.

Ma chi è Chepe Zamora e perché il suo caso giudiziario sta scuotendo non solo il Guatemala e l’America Centrale ma tutto il mondo della stampa internazionale? Josè Ruben Zamora Marroquín è l’ex direttore di ElPeriódico, il secondo giornale più letto del Guatemala. Ex direttore, perché il quotidiano, che dal 1996, anno della sua nascita, si occupa di accendere un faro sulla grave situazione di corruzione che vive il Paese, ha chiuso i battenti il 15 maggio scorso a causa del collasso finanziario dovuto al sequestro dei conti correnti stabilito dalla Feci dopo l’incarcerazione di Zamora il 29 luglio 2022, a soli 5 giorni dall’uscita di un reportage incentrato sulla corruzione del presidente del Guatemala, Alejandro Giammattei.

La morte economica del giornale ha portato al licenziamento di quasi tutto il personale. A questo si aggiunge che buona parte dei redattori sono stati costretti ad autoesiliarsi all’estero dopo le intimidazioni ricevute per il lavoro svolto, mentre 9 colleghi di Zamora si ritrovano oggi a essere indagati per ostruzione alla giustizia solo per aver coperto il caso giudiziario del direttore.

La fine di un giornale nazionale e il tentativo da parte dello Stato di distruggere legalmente il suo direttore, per cui oltre ai 40 anni di carcere, viene richiesta anche la sospensione dei diritti politici come schiaffo morale, suona come un duro monito nei confronti della stampa in vista delle elezioni generali del prossimo 25 giugno. Molti organismi di stampa internazionale hanno denunciato in questi giorni la mancanza di libertà di espressione in Guatemala e l’associazione di giornalisti del Guatemala (APG) ha protestato di fronte al Palazzo di Giustizia durante l’udienza del 31 maggio. «Il governo di Giammattei sta silenziando le voci libere. Durante il suo mandato si sono verificate oltre 360 aggressioni a media e reporter. Attraverso il caso di Zamora si cerca di annichilire tutta la categoria giornalistica».

Nonostante tutto Zamora riesce ancora a far sentire la sua voce. «Senza libertà di stampa non c’è democrazia», conclude il suo ultimo editoriale pubblicato su ElPeriódico.

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