Alla fine Joe Biden, dopo quasi un mese nello Studio ovale, ha alzato il telefono e ha chiamato Benyamin Netanyahu. Dopo un’attesa snervante, il premier israeliano ha incassato un colloquio «caloroso e amichevole». Un’ora in cui la parte del leone l’ha avuta suo malgrado l’Iran. Il presidente Usa ha rassicurato: «Saldo impegno per la sicurezza di Israele».

LA TELEFONATA è giunta alla vigilia dell’incontro online di ieri tra i ministri degli esteri di Francia (Le Drian), Germania (Maas), Gran Bretagna (Raab) e il neo segretario di Stato Usa Blinken. Primo e unico punto all’ordine del giorno gli strumenti per rivitalizzare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015, affossato da Trump sotto una pioggia di sanzioni e poi con il ritiro americano.

Mosse pesanti a cui Teheran ha risposto per le rime tornando ad arricchire l’uranio e, notizia più recente, pianificando di limitare le ispezioni dell’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) se le sanzioni non saranno cancellate entro il 21 febbraio, data-ultimatum stabilita dal parlamento iraniano a fine 2020.

È previsto per sabato l’arrivo a Teheran del capo dell’Aiea Grossi per negoziare il modo di proseguire le ispezioni, mentre oggi alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco Merkel, Macron, Johnson e Biden potrebbero dare aggiornamenti sulla situazione.

«L’E3 e gli Stati uniti affermano l’obiettivo comune di ritorno dell’Iran al rispetto dell’accordo – si legge nella nota delle quattro diplomazie – Blinken ha ribadito, come detto dal presidente Biden, che se l’Iran tornerà a rispettare i suoi obblighi, gli Stati uniti faranno lo stesso». Il capitolo si chiude con l’appello a Teheran a non limitare l’attività dell’Aiea. Un pressing su più fronti: martedì la cancelliera Merkel ha chiamato il presidente Rohani e lo stesso ha fatto ieri il presidente del Consiglio europeo Michel per dirsi preoccupati dal mancato rispetto iraniano dei termini dell’accordo.

Rohani ha ribadito a entrambi sia la convinzione che l’intesa sia stata un risultato diplomatico centrale, sia la critica che muove da tempo all’Europa, scarso coraggio nel bypassare il piccone di Trump, nonostante i danni provocati alle aziende europee e britanniche dal congelamento dei memorandum d’intesa miliardari già firmati.

E ieri ha contrattaccato a chi lo accusa di ricatto: agli Stati uniti, ha detto, chiediamo solo di rispettare gli accordi. La Repubblica islamica lo va ripetendo da anni: sono gli Usa ad aver calpestato un’intesa raggiunta dopo anni di negoziati. Oggi lo ribadisce: prima spariscono le sanzioni, poi si potrà ripartire con l’accordo.

L’OPPOSTO di quanto paventato da Biden, sicuramente intenzionato a ri-scongelare i rapporti ma senza fare il primo passo (anche per evitare le ire israeliane e saudite): rientro Usa nell’accordo ma solo dopo il rientro dell’Iran, ha detto ieri la portavoce della Casa bianca Psaki.

Di tempo ce n’è poco: a giugno si aprono le urne per le presidenziali e Rohani non potrà ripresentarsi (limite di due mandati). Il timore di una vittoria dei conservatori è ogni giorno più reale, alla luce della durissima crisi durissima che si è abbattuta sul paese a causa delle sanzioni prima e della pandemia poi. Per questo si spera anche nella fine del veto Usa a un prestito dell’Fmi, oltre allo sblocco dei fondi iraniani all’estero.