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ChatGPT, credibilità, artifici e molti tribunali

ChatGPT, credibilità, artifici e molti tribunali

Express L'intelligenza artificiale va alla ricerca di autorevolezza e recluta intellettuali per un controllo di appropriatezza di romanzi e storie. Ma intanto fioccano le cause per i testi «in stile di». Anche Franzen e Grisham vogliono far valere i loro diritti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 28 settembre 2023

E’ purtroppo improbabile che una rubrica come Express abbia fra i suoi lettori romanzieri giapponesi, drammaturghi statunitensi o lirici che scrivono in hindi, ma se per caso (grande è il raggio di espansione del manifesto) ce ne fossero alcuni che si riconoscono in queste categorie, buone notizie sono (forse) in arrivo per loro: come scrive Andrew Deck su Rest of World, «le più grandi compagnie di intelligenza artificiale generativa della Silicon Valley stanno cercando un nuovo tipo di addetti all’elaborazione dei dati: i poeti» – e non solo poeti, ma pure narratori, autori di testi teatrali o più semplicemente laureati che sappiano tenere la tastiera in mano.

Si sarebbe tentati di pensare a una bufala, e invece no, ecco l’annuncio online di Scale AI («un fornitore di dati che ha un’importanza cruciale nel campo dell’IA generativa» secondo Forbes) in cui si cercano candidati «dotati di un master o un dottorato di ricerca in qualsiasi area o settore, purché esperti di scrittura professionale (poeti, redattori, giornalisti, scrittori, eccetera)». Chi sarà scelto lavorerà in remoto su progetti di scrittura, per esempio «classificando una serie di risposte prodotte da un modello di IA, scrivendo brevi storie su un determinato argomento, valutando l’accuratezza di un testo prodotto da un modello di IA». Retribuzione oraria tra i 25 e i 50 dollari a seconda dell’esperienza, pagamenti con cadenza settimanale. Non c’è da diventare ricchi, ma per arrotondare le entrate è un sistema che a prima vista sembra meglio di tanti altri.

Ma ne siamo proprio sicuri? Interpellato da Deck, Dan Brown (no, non l’autore del Codice Da Vinci, ma il docente di creatività computazionale presso l’università di Waterloo) sostiene che da parte della Silicon Valley il reclutamento di intellettuali (per usare una parola da tempo caduta in disgrazia) è innanzitutto una questione di prestigio: «Un conto è generare correttamente titoli di tabloid in francese, un altro è replicare lo stile di Victor Hugo o di qualche altro autore famoso. Chi è in grado di farlo acquista un altro tipo di credibilità». E non a caso: contrariamente a quanto pensano in tanti, «è molto difficile per gli umani scrivere belle poesie, e quasi tutti i poeti rileggono e correggono infinite volte i loro testi prima di renderli pubblici, un tipo di esercizio che i modelli linguistici di grandi dimensioni non sono addestrati a fare» osserva saggiamente Brown.

Se i vari ChatGPT e simili impareranno gioie e tormenti del labor limae, è tutto da vedere, visto che in fondo la cosiddetta intelligenza artificiale è stata inventata, almeno in teoria, per risparmiare tempo e fatica. Ma sull’idea che a spingere i grandi poteri della Silicon Valley sia solo il desiderio di una maggiore autorevolezza, beh, non è azzardato nutrire qualche dubbio, in base al vecchio detto che a pensar male spesso ci si azzecca (frase abitualmente attribuita a Andreotti, ma detta per la prima volta – pare – da papa Pio XI). Come è stato ricordato anche in queste stesse colonne, i modelli di IA sono nutriti con intere biblioteche che spesso contengono opere sotto copyright, con il rischio che gli autori depredati cercheranno di far valere i loro diritti. Qualcuno, anzi, lo ha già fatto, e si tratta di nomi grossi, da John Grisham a Jonathan Franzen. Si prevedono insomma cause che costringeranno Open AI, Meta e compagnia cantante a sborsare milioni e milioni di dollari. E allora, non è molto più semplice assoldare poveri laureati disposti a macinare testi «in stile di» in cambio di pochi spiccioli? La risposta è evidente, e che non si parli di prestigio, per favore.

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