Un nuovo, importantissimo, passo verso la conclusione dei conflitti armati in Colombia si è compiuto ieri all’Avana alla conclusione del terzo ciclo di conversazioni di pace alla presenza del presidente Gustavo Petro e del primo comandante dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), Antonio García, e del presidente cubano Miguel Díaz-Canel. Di fronte a numerosi giornalisti è stato firmato un accordo tra governo e guerriglia che prevede un cessate il fuoco bilaterale in tutto il territorio colombiano per un arco di sei mesi.

È un compromesso richiesto dalla guerriglia affinchè «possa essere verificata la sua reale applicazione» prima di dichiarare la cessazione del conflitto. L’accordo comprende anche «aiuti umanitari» per le comunità coinvolte e colpite dal conflitto e la possibilità della società civile di partecipare alle seguenti fasi del negoziato verso la conclusione definitiva del conflitto armato. Questo punto, ha sottolineato García, è cruciale perché la pace «è possibile solo se comporta trasformazioni sociali in favore di quella parte della popolazione storicamente esclusa». Tesi questa condivisa anche da Petro – «la pace come speranza di profonde trasformazioni e di giustizia sociale» – per coinvolgere la popolazione nella politica di riforme voluta dal suo governo.

LA PARTECIPAZIONE DIRETTA del presidente Petro è una risposta coraggiosa alla grave crisi innescata in Colombia dalle dichiarazioni dell’ex ambasciatore in Venezuela, Armando Benedetti, su presunti finanziamenti dei narcos alla campagna elettorale di Petro. Lo scandalo pilotato dalla destra colombiana – alla quale Benedetti è organico – si aggiunge alle minacce pronunciate il mese scorso dal leader dell’Associazione dei militari in pensione, favorevole ad abbattere con la forza il governo.

Dietro queste crisi – aveva denunciato Petro – si vede la mano del Congresso, dove la destra ha la maggioranza, e dell’intelligence statunitense per impedire che il governo del primo presidente di sinistra della Colombia possa riuscire a imporre le riforme necessarie per migliorare la vita della popolazione, riforme nell’ambito del lavoro, delle pensioni e della salute.

In piena «campagna moralizzatrice» scatenata dal settimanale Semana – che ha pubblicato il testo di telefonate minacciose di Benedetti e la sua intenzione di rivelare notizie su fondi illegali ricevuti dal capo dello stato – l’ex candidato presidenziale “Fico” Gutierrez aveva chiesto le dimissioni di Petro. «Il potere giudiziale viene così chiamato in causa nel gioco attuato dalle destre per indebolire – o possibilmente debellare – il governo di Petro» con la stessa tecnica adottata nel dicembre dell’anno scorso dal Congresso del Perù per debellare il presidente Castillo, scriveva l’analista Pedro Breger.

UN ALTRO ANALISTA, Aran Ahoronian, afferma che il cosidetto lawfare applicato prima contro Dilma Rousseff in Brasile, poi contro Cristina Fernández in Argentina e quindi in Perù, sarebbe la linea adottata dalla Cia o dall’Amministrazione Biden per attaccare i leader sudamericani che si battono per autonomizzare il subcontinente dal dominio Usa. È quanto accade anche in Messico, «dove destra e potere giudiziale cercano di imbrigliare i programmi e le riforme del presidente Andrés Manuel López Obrador», afferma.

Il presidente Petro ha mostrato chiaramente di non voler subire questa politica di golpe light. Mercoledì, in pieno scandalo politico ha partecipato a una manifestazione popolare a Bogotá (ma anche in molte altre città della Colombia) in suo favore. Ha detto chiaramente che non è disposto a marce indietro e che se il boicottaggio della riforme impedirà una loro discussione in parlamento entro il 20 giugno – termine dell’attività del Congresso – chiederà una proroga. Poi è volato a Cuba per dar peso al risultato ottenuto in un’altro pilastro della sua politica, la pacificazione della Colombia dopo decine di anni di guerra civile.

QUESTO DECISO PASSO AVANTI è anche un successo diplomatico di Cuba, paese ospite che funge da garante per le trattative. Un successo che dimostra quanto sia solo politicamente motivata la decisione dell’Amministrazione Biden di mantenere Cuba nella lista dei paesi che favoriscono il terrorismo, come sottolineato dal vice ministro degli Esteri cubano, De Cossio.