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Cesar e l’eclatante «controinvasione» di Belgorod. Con le forniture Usa

Cesar e l’eclatante «controinvasione» di Belgorod. Con le forniture UsaMembri della legione "Svoboda Rossiy" nel Donbass. "Cesar", che ha rivendicato l’incursione di lunedì nella regione russa di Belgorod, è il seondo da sinistra – Alfredo Bosco

La legione che sfida Mosca I miliziani di Svoboda Rossiy, già inquadrati nell’esercito ucraino e diretti dall’ex deputato russo Ilya Ponomarev, rivendicano l’incursione di lunedì nel territorio della Federazione russa. Per il Cremlino allarme rientrato: «Bloccati e sconfitti». L’enigma dei mezzi forniti a Kiev dagli Usa "a patto che" esibiti nell’attacco

Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 maggio 2023

L’azione eclatante è stata messa in atto. Una «controinvasione» in territorio russo, nella regione di Belgorod, al di là della frontiera con la regione ucraina di Kharkiv. Sfatiamo subito un falso mito: non si trattava di un’operazione con un obiettivo militare. Ma la guerra non è fatta solo di vittorie sul campo: la paura, il sospetto e persino la paranoia sono armi che i governi usano senza esclusione di colpi. Avevamo incontrato alcuni dei militari coinvolti nell’assalto qualche mese fa, nell’est dell’Ucraina, in una base segreta nei pressi del fronte. A guidarli c’era un ex-deputato russo, Ilya Ponomarev e i discorsi che molti di loro avevano fatto a volto coperto sembravano solo proclami di un gruppo di miliziani passati oltre-confine. Ieri, invece, uno di loro, Cesar, si è fatto riprendere mentre annunciava la «liberazione» di un villaggio russo e minacciava il Cremlino.

NONOSTANTE A METÀ GIORNATA di ieri il ministero della Difesa russo dichiarava che i «nazionalisti» infiltrati nel territorio della Federazione erano stati «bloccati e sconfitti», restano molti dubbi e punti oscuri in questa vicenda che ha almeno due protagonisti: da un lato i gruppi armati che con ampio sfoggio di foto e video hanno fisicamente lanciato l’attacco, che corrispondono al nome di Legione «Libertà per la Russia» (Svoboda Rossiy) e Corpo volontario russo (Russkiy dobrovol’cheskiy korpus, o Rdk), realtà note con possibili responsabilità anche nelle azioni dei mesi scorsi in territorio russo; dall’altro i servizi segreti militari ucraini, il Gru del sempre più famoso Kyrylo Budanov.

MA PARTIAMO DAI FATTI. Nella tarda serata di lunedì iniziano a circolare on-line le immagini di scontri armati a pochi chilometri dalla frontiera ucraina, in pieno territorio russo. Belgorod, lo ricordiamo, è da mesi oggetto di attacchi e sabotaggi, sia alle infrastrutture civili sia a quelle militari. Inizialmente Kiev ha sempre negato, ma era un’altra fase del conflitto, prima che il capo del Gru annunciasse che «gli estremisti russi saranno trovati ovunque nel mondo e uccisi». Gli attacchi nella regione si sono fatti sempre più frequenti portando addirittura a interruzioni di corrente, a un treno deragliato e all’abbattimento di 5 velivoli russi. Lunedì notte Svoboda Rossiy ha pubblicato un asciutto comunicato nel quale affermava di aver attraversato il confine e di aver invaso la cittadina di Kozinka, oltre ad aver inviato unità nella città di Grayvoron. «Siamo russi come voi» hanno scritto «ci distinguiamo solo per il fatto che non abbiamo più voluto giustificare le azioni dei criminali al potere e abbiamo preso le armi per difendere la nostra e la vostra libertà. È ora di porre fine alla dittatura del Cremlino».

Rispetto ai mezzi utilizzati per l’incursione sembra che almeno due carri armati e vari blindati, tra cui anche i famosi Humvee e altri corazzati, siano parte delle forniture Usa all’Ucraina. Il che è abbastanza strano non per motivi complottisti. Sappiamo che i Paesi occidentali, Washington in testa, riforniscono Kiev di armamenti da mesi, alla luce del sole. Dato che i due gruppi di cosiddetti «dissidenti» russi sono in qualche modo inquadrati nelle file dell’esercito ucraino non è strano che ricevano anche loro parte di quelle forniture. Ma perché mostrarli in mondovisione quando l’unica cosa che l’amministrazione Biden continua a ripetere da mesi è «forniremo armi purché non si attacchi il territorio russo»?
Facciamo un’ulteriore distinzione: la legione Svoboda Rossiy e l’Rdk non sono la stessa cosa anche se, a quanto pare, hanno agito insieme. La prima è una creatura di Ilya Ponomarev, personaggio fumoso, uomo d’affari ed ex membro del Partito comunista russo, l’unico deputato della Duma ad aver votato contro l’annessione della Crimea nel 2014 e ad astenersi sulla legge contro la «propaganda gay».

ACCUSATO di appropriazione indebita e fatto decadere (lui dice per «volontà politica»), Ponomarev fugge in Ucraina nel 2016, ne ottiene la cittadinanza nel 2019 e si unisce ai battaglioni di difesa territoriale subito dopo l’invasione russa. In un’intervista su Le figaro lo scorso febbraio affermava: «Diciamo che mi muovo nelle alte sfere politiche per agevolare certe cose, e la formazione di questa unità ne è parte». Secondo lui tra i 500 e i 1000 soldati, tutti russi, sono all’interno di Svoboda Rossiy e un altro battaglione sarebbe in addestramento. Il loro obiettivo «dopo la vittoria dell’Ucraina» è proseguire fino a Mosca, «ma senza l’esercito regolare ucraino, o qualsiasi altro esercito». Tuttavia, «siccome siamo venuti a combattere per loro, bisognerà che degli ucraini vengano a battersi con noi».

L’Rdk, invece, è guidato dal neonazista Denis Kasputin, anche lui con un passato ambiguo. Noto negli ambienti nazionalisti russi per le sue posizioni estremiste, ha vissuto per anni in Germania prima di spostarsi in Ucraina per combattere contro l’esercito di Mosca. Kasputin ha rivendicato l’incursione a Bryansk, sempre in territorio russo, ed è sospettato dell’attentato a Kostantin Malofeev, alto dirigente di una tv vicina agli ambienti più guerrafondai della destra russa.

COM’È EVIDENTE, questi gruppi hanno una composizione molto eterogenea: c’è sicuramente una parte di dissidenti ma uno dei tratti distintivi più forti è senz’altro il nazionalismo. Una visione politica che si oppone a Putin ma non certo per questo libertaria. Dal canto suo, Mosca li definisce «terroristi», dice di averne uccisi «più di 70» e accusa Kiev di aver orchestrato «un’operazione sotto mentite spoglie per diffondere il panico nella popolazione». Ma che non ci fosse nessuno a bloccare i sedicenti «partigiani russi» alla frontiera è evidente. Ora il governo dovrà dislocare nuove truppe in quell’area e, forse, distrarre uomini dai fronti aperti. Inoltre, il capo della Wagner Prighozin aspettava al varco, ora sì che potrà dire «il ministero della Difesa non vi protegge» e proporsi nuovamente come salvatore della patria.

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