Domenica 2 giugno 1946, giorno di referendum. Non però quello che ha stabilito che l’Italia sarebbe diventata repubblica. Il referendum in questione è un altro, tenutosi proprio lo stesso giorno, ma a Lugano, canton Ticino. Dopo un paio di edizioni «belliche» di un festival internazionale del film tenutosi a Lugano, la popolazione è chiamata a decidere se costruire una struttura idonea nel parco Ciani per ospitare il futuro della rassegna. Il popolo dice no. Ecco allora che alcuni esercenti e alcuni appassionati di cinema a diverso titolo decidono di verificare la possibilità di creare un’iniziativa analoga a Locarno. Neppure due mesi dopo, il 23 agosto, nel giardino del Grand Hotel, trasformato in arena cinematografica, parte l’avventura del festival di Locarno. Camillo Beretta presidente e Riccardo Bolla direttore artistico. Bisogna ricordare che la Mostra di Venezia, nata nel 1932, era stata ovviamente sospesa per la guerra e riprende il 31 agosto 1946. Il festival di Cannes che avrebbe dovuto decollare nel 1939 come rassegna libera dalle dittature, era stato disintegrato dallo scoppio della guerra, e riparte proprio il 20 settembre del fatidico 1946. Quindi grande inizio postbellico a Locarno.

MA ANCHE grande inizio di polemiche. Una politica, perché l’Europa e il mondo non ancora davvero pacificati stanno conoscendo l’eco della Guerra Fredda, e l’idea che quell’anno un regista come Ejzenstein, targato Unione Sovietica, possa approdare a Locarno scatena la canea dei benpensanti che proseguirà negli anni successivi, segnati anche da un paio di interruzioni. L’altra polemica è più italiana, si tratta dei premi assegnati nelle prime edizioni. 1946 vince René Clair con Dieci piccoli indiani, trombato d’eccellenza Roberto Rossellini con Roma città aperta. 1947 Di nuovo René Clair con Il silenzio è d’oro. Nulla per Paisà di Rossellini e Sciuscià di De Sica. Poi nel 1948 parziale recupero, vince Germania anno zero di Rossellini, ma nel 1949 si ricasca nell’errore, vince La ferme des sept péchés di Jean Devraivre, snobbando Ladri di biciclette di De Sica, tra i boati di protesta del pubblico indignato per la scelta.

L’altra polemica è più italiana, si tratta dei premi assegnati nelle prime edizioni. 1946 vince René Clair con Dieci piccoli indiani, trombato d’eccellenza Roberto Rossellini con Roma città aperta.

Va detto che i selezionatori avevano visto bene, ma chi ha assegnato i premi ha mostrato uno strabismo ancora diffuso da queste parti: la cultura francese la sa più lunga. Per tacere del fatto che l’economia è appannaggio dei tedeschi. Per tentare di capire qualcosa del composito mondo elvetico tocca rifarsi a Helmut Kohl che in occasione di una visita al festival nel 1993 citando un’autorità locale si è rifatto allo sport «quando c’è la partita di calcio Germania-Italia, gli svizzero-tedeschi tifano tutti per l’Italia, mentre gli svizzero-italiani tifano tutti per la Germania. Capito questo si capisce la Svizzera». Momenti alti e momenti bassi, come in tutti i festival. Ma anche momenti geniali come quel 1971 in cui l’architetto Livio Vacchini come Belushi in Blues Brothers ha la visione: proiezione in piazza Grande anziché al Grand Hotel. Qualcuno è perplesso, altri approvano l’investimento di 240mila franchi, per approntare grande schermo, cabina di proiezione e impianto. Vengono piazzate mille sedie. Sembrano troppe per quel film di un ancora poco noto Woody Allen, Prendi i soldi e scappa. Si cerca di rimediare. Anno dopo anno si è arrivati alle ottomila di oggi piazzate davanti a uno schermo gigantesco con un impianto di qualità magistrale.

E LE SEDIE? Dove finiscono quelle migliaia e migliaia di seggiole quando non c’è il festival? In un deposito all’interno della galleria che porta a Locarno dall’autostrada. Molte delle informazioni «riciclate» in questo articolo sono prese da Locarno on/ Locarno off di Lorenzo Buccella, la pubblicazione che ripercorre i 75 anni di festival con grande dovizia di aneddoti e curiosità. Oggi si inaugura, si archivia la storia a favore della cronaca con l’adrenalinico, nevrotico e micidiale Bullet Train di David Leitch con Brad Pitt e un’infinità di altri attori tra cui Aaron-Taylor Johnson, presente e premiato.