Alias Domenica

Cees Nooteboom intinge la sua penna nella roccia

Poesia Un importante prelievo dalla produzione poetica del romanziere olandese: «Luce ovunque», da Einaudi

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 4 settembre 2016

A testimoniare quanto Cees Nooteboom tenga alla poesia basterebbe il libro recentemente apparso per Iperborea, Tumbas, titolo che si riferisce alle tombe dei poeti e dei pensatori che l’autore ha visitato nei suoi frequenti viaggi intorno al mondo, una testimonianza impressionante dei rapporti con i poeti del passato, che rivelando la sua predilezione per il modernismo e per l’ermetismo, o per il pensiero poetante, manifesta il canone personale di Nooteboom. Del resto, la raccolta appena apparsa con il titolo Luce Ovunque (traduzione di Fulvio Ferrari, Einaudi, pp. 200, euro 14,50) contiene una sezione di «Incontri» nella quale il poeta riflette su vita e opere di altri autori, fra i quali Borges, Wittgenstein e Wallace Stevens.
Certo, la poesia ha sempre attirato minori attenzioni rispetto alle opere narrative di Nooteboom, che tuttavia ha prodotto sin dall’inizio della sua carriera un’enorme quantità di versi, e già il suo traduttore, Fulvio Ferrari, nel 2003 aveva pubblicato una piccola antologia bilingue presso le edizioni del Leone di Venezia con il titolo Le porte della notte, nella quale però non venivano menzionate né la provenienza né la genesi dei componimenti.
Le prime poesie dell’attuale raccolta provengono dal più recente libro di versi, pubblicato nel 2012 quando lo scrittore aveva quasi ottant’anni. Rispecchiano la malinconia dell’invecchiare, la perdita degli amici – la poesia Sera reca la dedica in memoria di Hugo Claus e «Figura» racconta il momento in cui l’autore apprende della morte dell’amico –, i ricordi amorosi che si congelano in versi, la morte incombente. La prima poesia introduce i due temi più importanti di Nooteboom in un’unica parola, in nederlandese Leeftocht che si traduce «provviste», ma che combina le due parole «vivere» e «viaggio»: è ciò che permette di sopravvivere al viaggio e sta alla base della metafora concettuale «la vita è un viaggio».
Nei primi versi, colpisce il termine «spinifex», un’erba originaria dell’Australia che predilige le zone aride interne: «E quel pomeriggio si lasciarono il mondo alle spalle. / Lungo la strada spinifex».
Esotica e inusuale, la parola disorienta e distrae dall’incipit che narra di un viaggio oltre il mondo, ma allo stesso tempo, in modo preciso, nomina il mondo. Dal modo molto generale e allegorico si passa a una denominazione scientifica. La strada spinifex diventa così un correlativo oggettivo per questa poesia e per tutta la raccolta. Anche nella seconda poesia, Sera, appare il nome di un fiore, euforbia, e nella terza, Figura, il fiore dell’ibisco è la metafora portante del componimento. Questi nomi richiamano la poesia da Le porte della notte, «Harba lori fa» che inizia con l’esclamazione Quante specie esistano! e continua con la descrizione delle piante della Provenza: «Una popolazione immensa / per soffrire e ridere in queste colline pietrose!»
La frase «Harba lori fa» proviene da una canzone d’amore medievale del duca Giovanni di Brabante, agli inizi della letteratura in lingua nederlandese. Il significato rimane oscuro, ma è stata proposta la traduzione dal provenzale «dall’erba nascono i fiori» con riferimento sicuramente erotico. Il legame di Nooteboom con la poesia dei trovatori si esprime nella sua poetica dell’amore che parte dell’occhio ed è riassunto meravigliosamente nella frase «il bacio dell’occhio» dal componimento Basho.
Il viandante si guarda intorno e costruisce un’immagine in parole: un piccolo quadro che trasforma il mondo in pensiero ed emozione. Una canzone d’amore implica perciò, nello sguardo di Nooteboom, sempre una distanza e non è un caso che la critica gli abbia spesso rimproverato di essere freddo e distaccato. Vedere tutto, non capire niente: il motto del pittore dice la poesia Ciò.
Quella di Nooteboom è sicuramente la poesia di un osservatore e di un lettore che ha bisogno della realtà per costruire una visione complessa della vita. Nella terza stanza di Provviste avviene l’incontro con «l’angelo necessario» di Stevens, l’Angelo della realtà,/ intravisto un istante sulla soglia, che non esiste, ma che prende il sopravvento e alla fine si accaparra l’unico letto: Così era, più o meno, quando scese la sera,/ l’angelo si pettinò i capelli,/ si sistemò le ali che non poteva/ togliersi e si addormentò/ nell’unico letto.
La reputazione di Cees Nooteboom è in continua crescita. Le sue opere sono state tradotte in molte lingue, ma finora la poesia è rimasta piuttosto in ombra. La selezione per il pubblico italiano è un importante contributo a una più completa ricezione di tutta l’opera di questo affascinante autore. Un critico olandese ha detto della poesia di Nooteboom che è «per iniziati» e l’esercito degli iniziati sta crescendo senz’altro più fuori dell’Olanda che al suo interno. Cosmopolita qual è, Nooteboom si muove con facilità in tutto il mondo, ma la sua scrittura rimane ancorata nella lingua materna. Con un termine coniato dal filosofo americano K. A. Appiah lo potremmo definire un cosmopolita radicato, a casa ovunque, ma legato alla propria lingua.

 

Nel romanzo Le montagne dei Paesi Bassi del 1984 si manifestava già l’attrazione per il sud e la luce mediterranea che lo ha riguardato per gran parte della sua vita, ma il titolo Luce ovunque si riferisce a un’altra luce, come dimostra la poesia Notte in cui il poeta s’immagina un aldilà: «un portone, sempre chiuso, ora socchiuso, il pericolo di un’altra vita». La luce è una luce ambigua: Luce ovunque, fino ai denti/ della belva, fino alle unghie/ dell’assassino e al pugnale lucente/che scrive l’ultima parola,/ fuoco.
Muovendosi in senso antiorario, indietro nel tempo, la raccolta comporta un’archeologia del pensiero poetico. Nooteboom ha sempre collocato la natura al centro della sua poesia: lo si potrebbe dire un poeta presocratico per quel suo ricercare l’origine nei quattro elementi di acqua, terra, aria e fuoco. Mentre nella sua prima produzione dominano la terra e l’acqua – forse la parola più frequente nelle prime poesie è steen, «pietra» – nelle ultime, che sono le prime di questa raccolta, predomina la ricerca della metafisica associata all’aria e al fuoco.

 

Il libro finisce con due componimenti della raccolta Poesie chiuse dal 1964, che racchiudono i due estremi dallo spettro di questa poesia classica e cosmica. La prima, Campagna sotto la pioggia, titolo che fa venire in mente il paese d’origine del poeta, mette al bando gli eroi della mitologia: Gli immortali sono morti e dimenticati, / loro casa è una tomba. / Il loro occhio è una pietra con cui vedono tutto, mentre la seconda, Golden Fiction, che conclude il libro, riprende il nome di una marca di sigarette, ma chiaramente viene utilizzato per collegarsi ai miti eroici. Chiudendo il cerchio, riapre il discorso metafisico: Guarda! I fuochi si aprono / I pagani combattono per un pugno di cenere./ Domani ripartirò con la mia nave. / Sono sepolti, i miei amici. / Sotto gli alberi continuano i corpi il loro cammino./ La loro anima è una moltitudine di foglie/ mosse dal vento.

Le poesie di Nooteboom sono ispirate alle mitologie e alle filosofie classiche e precristiane e raramente il soggetto lirico si introduce direttamente. La sua è un’arte della parola ed è giusto che abbia trovato in Italia un traduttore filologo. Dietro la lingua non c’è una credenza o una fede e l’unica cosa che può salvare il poeta è la natura vista, vissuta e trasmessa in parole. La sua scolastica è una conversazione cosmica: È questo il più antico dialogo sulla terra./ La retorica dell’acqua/ esplode sul dogma della pietra./ Ma all’invisibile conclusione/ solo il poeta sa come va a finire/ Intinge la penna nelle rocce e scrive su una tavola/ di schiuma.
Il quadro degli elementi si disfa e si rifà nella scrittura come schiuma, aria connessa e contenuta dall’acqua o dalla terra, l’elemento leggero che ha possiede la capacità di penetrare negli elementi più pesanti. Il poeta si muove in questo quadro senza trovare il proprio posto: La montagna sonnecchia sotto terra,/ E alta sopra la sabbia che mi divora / È sospesa la seducente ala / Di un fiume morto come il sole. / Sono stato ovunque, cane scacciato/I n un mondo capovolto,/ Le mie orme perdute in una tempesta di sabbia/ Come una parola senza lettere,/ Come un nome senza persona.(Empty Quarter).

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