Ha scelto di andare prima a Ramallah, il quartier generale dell’Anp, o poi in Israele il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu giunto ieri a Gerusalemme per una visita ufficiale di due giorni. Un modo per dimostrare che Ankara non dimentica i palestinesi e i loro diritti malgrado la decisione presa dal presidente Recep Tayyib Erdogan di riallacciare i rapporti con Israele dopo aver egli stesso alimentato, per oltre dieci anni, un duro scontro politico e diplomatico con Tel Aviv. La Turchia sostiene la soluzione della questione israelo-palestinese con due Stati e con Gerusalemme est come capitale della Palestina, ha proclamato Cavusoglu durante la conferenza stampa tenuta con l’omologo palestinese Riyad al Malki. «Si tratta dell’unico modo per risolvere la questione palestinese», ha aggiunto «la Turchia sta con la Palestina e i palestinesi nella loro lotta per uno Stato sovrano e indipendente». Parole che ha ripetuto al presidente dell’Anp Abu Mazen.

Cavosuglu oggi a Gerusalemme sarà al Memoriale dell’Olocausto Yad Vashem e incontrerà il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid e quello del turismo Yoel Razvozov. Visiterà inoltre la Spianata della moschea di Al Aqsa senza la scorta israeliana con l’intento apparente di sottolineare che il terzo luogo santo dell’Islam, al centro di forti tensioni da mesi, per la Turchia non è sotto sovranità israeliana. «È importante per tutti i musulmani che la santità e lo status di Al Aqsa siano protetti», ha detto il ministro turco.

In casa palestinese le dichiarazioni di Cavusoglu sono state accolte con favore. Abu Mazen e il suo entourage allo stesso tempo sanno che la visita del ministro degli esteri, la prima di un politico turco di alto livello negli ultimi 15 anni, rappresenta un ulteriore, decisivo tassello del processo di normalizzazione delle relazioni tra Ankara e Tel Aviv inaugurato il 9 marzo scorso quando Erdogan accolse ad Ankara il capo di Stato israeliano Isaac Herzog. Sono diverse le motivazioni dietro il passo di Erdogan di mettere fine allo scontro con Israele. E l’arrivo di Cavusoglu mette i rapporti tra i due paesi su un percorso pratico. Una delle questioni all’ordine del giorno riguarda la cooperazione energetica, tema centrale per le due parti, divise per interessi e alleanze da quando nell’ultimo decennio sono state scoperte significative riserve di gas naturale nel Mediterraneo orientale.

Israele e Turchia sono consapevoli di quanto siano intrecciate le questioni dell’energia con quelle diplomatiche e strategiche. Lo stesso Erdogan non ha esitato a chiarire l’interesse del suo paese per le importazioni di gas naturale da Israele. La Turchia copre la maggior parte del suo fabbisogno energetico affidandosi alla Russia ma ora, come altri paesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina, prende le distanze da Mosca. Punta perciò a diversificare le sue fonti di approvvigionamento e a liberarsi dalla dipendenza dal mercato energetico russo. Allo stesso tempo Ankara crede di poter trarre vantaggio dal trasferimento, attraverso il suo territorio o i suoi porti, del gas israeliano e di rafforzare la sua posizione di passaggio chiave per il trasporto di energia in una realtà geopolitica mutevole.

Erdogan si è reso conto che la proiezione della Turchia in Medio oriente e nell’Africa settentrionale e orientale è stata frenata dalla firma nel 2020 degli Accordi di Abramo tra Israele e quattro paesi arabi (Emirati, Bahrain, Sudan e Marocco) che hanno messo lo Stato ebraico a capo di una alleanza militare, economica e strategica, che qualcuno ha descritto come la NATO araba. Erdogan si affida a Israele per recuperare il posto centrale nella regione e rafforzare la sua posizione sulle due questioni centrali di interesse nazionale turco: il rapporto con la Grecia e il problema cipriota. Israele resta cauto e fa sapere che i legami con la Turchia non andranno a scapito delle relazioni che ha costruito con l’Egitto, la Grecia e Cipro.