Causa contro Eni. «Cambi strategia»
L'azione legale ReCommon e Greenpeace vogliono provare le responsabilità dell’azienda rispetto al cambiamento climatico. Primo contenzioso di questo tipo in Italia. Nei Paesi Bassi Shell condannata, ha fatto appello
L'azione legale ReCommon e Greenpeace vogliono provare le responsabilità dell’azienda rispetto al cambiamento climatico. Primo contenzioso di questo tipo in Italia. Nei Paesi Bassi Shell condannata, ha fatto appello
Per la prima volta in Italia una compagnia privata si troverà sul banco degli imputati accusata di aver contribuito massicciamente per decenni al cambiamento climatico e alle violazioni dei diritti umani che questo produce. L’azione legale si rivolge contro Eni ed è promossa da ReCommon e Greenpeace, insieme a 12 cittadini. Sarà depositata nei prossimi giorni presso il tribunale civile di Roma.
«NON CHIEDIAMO la quantificazione pecuniaria del danno ma il suo accertamento, rispetto al passato e al futuro – afferma Antonio Tricarico, campaigner finanza pubblica e multinazionali di ReCommon – Il cambiamento climatico impatta sui diritti fondamentali, come quelli alla vita e alla salute, e ha dei responsabili». Obiettivo della «giusta causa», come l’hanno battezzata i firmatari, è dimostrare in sede giudiziaria la nocività delle attività di Eni affinché, continua Tricarico, «il giudice condanni l’azienda a cambiare la sua strategia industriale imponendo la riduzione del 45% delle emissioni rispetto ai livelli del 2020 entro i prossimi sette anni». Secondo le associazioni la multinazionale del fossile era consapevole da tempo degli effetti sul pianeta delle sue attività.
SULLA BASE DEI REPORT annuali pubblicati dal «Cane a sei zampe» le associazioni sostengono che questo sia responsabile di emissioni di anidride carbonica superiori a quelle di tutte le altre attività italiane messe insieme. «Parliamo di 456 mega tonnellate di Co2 contro 390. Senza un deciso cambio di rotta i sacrifici individuali dei cittadini saranno inutili», afferma Simona Abbate, campaigner clima ed energia di Greenpeace.
DAL CANTO SUO l’azienda guidata da Claudio Descalzi, che oggi sarà confermato per la quarta volta nel ruolo di amministratore delegato, si dice pronta a «dimostrare in tribunale l’infondatezza dell’azione messa in campo e la correttezza del proprio operato e della propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione che mette insieme e bilancia gli obiettivi imprescindibili di sostenibilità, sicurezza energetica e competitività del Paese». L’azienda fa anche sapere che valuterà iniziative legali contro ReCommon «per tutelare la propria reputazione rispetto a ripetute azioni diffamatorie».
TRA I SOGGETTI chiamati in causa dalle associazioni ci sono anche il ministero di Economia e finanze e Cassa depositi e prestiti, che detengono il 4,4% e il 26,2% delle quote di Eni. Il cui bilancio è sottoposto a verifica dalla Corte dei conti che ne relaziona ai presidenti di Camera e Senato. Non si tratta quindi di una normale azienda privata, ma di una realtà produttiva legata a doppio filo alle strategie nazionali di approvvigionamento energetico: per questo le sue eventuali responsabilità coinvolgerebbero anche Stato e decisori pubblici.
A PROMUOVERE l’azione legale ci sono poi 12 cittadini che «subiscono e temono di subire in futuro le conseguenze dell’aggravarsi della crisi climatica a causa della condotta della multinazionale petrolifera italiana». Si possono dividere in quattro categorie in base al luogo di residenza: l’area del delta del Po fino a Venezia; quella delle Dolomiti; le zone costiere; la pianura Padana. «Vivo nel Polesine, tra Adige e Po. In questa parte d’Italia subiamo già gli effetti dei cambiamenti climatici: da qualche anno il mare entra nel corso dei fiumi a causa della siccità, rendendo salina l’acqua delle falde e aumentando il rischio di desertificazione del territorio», dice Vanni Destro. In passato ha partecipato alla battaglia contro la riconversione da olio a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. Progetto archiviato nel 2014.
ASSOCIAZIONI E CITTADINI sono convinti che le loro rivendicazioni poggino su solide basi giuridiche. La prima è la Costituzione italiana, soprattutto con gli articoli 9 e 41 recentemente modificati per inserire la tutela di paesaggio e ambiente tra i beni da proteggere. Tra le fonti internazionali troviamo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che tutela anche i diritti fondamentali violati dal cambiamento climatico, e gli Accordi di Parigi sulla riduzione delle emissioni. La valutazione giudiziaria dell’eventuale nesso di causalità tra le attività di Eni e le alterazioni ambientali ed ecologiche, invece, dovrà basarsi su quanto prevede il codice civile.
NEL 2021 nei Paesi Bassi una causa simile contro Shell ha portato a una condanna di primo grado. La compagnia petrolifera britannica è stata riconosciuta responsabile di aver danneggiato il clima e le è stato imposto di ridurre le emissioni di carbonio. Il processo è adesso nella fase d’appello. In tutto il mondo le climate litigation, azioni di contenzioso climatico, sono oltre 2mila.
TORNANDO IN ITALIA, ReCommon e Greenpeace chiederanno di fissare la prima udienza a novembre. Nel frattempo gli avvocati di Eni prepareranno la linea difensiva. Poi la palla passerà al giudice.
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