È il numero di elettori più alto che sia mai stato chiamato alle urne in Catalogna: più di 5 milioni e settecentomila catalane e catalani oggi devono scegliere chi occuperà i 135 seggi del parlamento catalano. Ma il voto nella seconda regione con maggiore Pil della Spagna (il 19%) dopo Madrid ha una valenza più che mai nazionale.

Sulla piazza di Barcellona si scontrano non solo i partiti che hanno peso nazionale, ma anche partiti piccoli a livello spagnolo, ma molto forti localmente, che sono importanti stampelle per la fragile maggioranza parlamentare che sostiene il governo di Pedro Sánchez .

LA POLITICA CATALANA è sempre stata legata a doppio filo a quella di Madrid. Anche stavolta: nello stesso giorno in cui Pere Aragonés, il presidente catalano, annunciava la convocazione di elezioni anticipate in Catalogna, il premier socialista comunicava la rinuncia all’approvazione della finanziaria 2024.

I SONDAGGI SONO unanimi da settimane: il primo partito sarà proprio il partito socialista (che oggi ha 33 seggi), con l’ex ministro della sanità durante la pandemia Salvador Illa. Già solo questo fatto sancisce l’uscita definitiva dal pantano politico pro o anti indipendenza che ha tenuto intrappolata la Catalogna da quasi dieci anni.

È dal 2010 che la Catalogna non è presieduta da un socialista e dall’avvento della democrazia, nel 1978, i socialisti hanno governato solo 7 anni. Tutti i successivi presidenti sono stati più o meno esplicitamente indipendentisti. La prima consulta per l’indipendenza venne celebrata nel 2014, mentre il secondo “referendum” fu celebrato nel 2017.

Dopo quel famigerato 1 ottobre, si scatenò tutta la macchina repressiva dello stato spagnolo e del governo, allora guidato da Mariano Rajoy, del Pp. Venne sospeso il governo catalano, il cui allora presidente, Carles Puigdemont, scappò assieme ad alcuni suoi ministri, mentre altri, tra cui il suo vicepresidente, Oriol Junqueras, affrontarono condanne sproporzionate.

Dopo il cambio di governo a Madrid, vennero indultati. E tra poche settimane, superati gli scogli frapposti dal partito popolare, arriverà in porto anche l’amnistia, arma d’assalto della destra per settimane, ma che, curiosamente, è stata quasi completamente assente nel dibattito elettorale catalano.

IL BENEFICIARIO più famoso è Carles Puigdemont. Che ha deciso di candidarsi come leader di Junts, un partito erede della destra nazionalista catalana (che ora conta 32 deputati), e che ha condotto una inedita campagna elettorale senza mettere piede in Catalogna. Per lui è ancora attivo un ordine di arresto.

Secondo i suoi calcoli, l’amnistia entrerà in vigore giusto in tempo perché possa prendere possesso del seggio. Lui conta di arrivare al palazzo della Generalitat; se lo scenario fosse quello del 2017, si potrebbe riproporre una alleanza con Esquerra Republicana, terzo grande partito catalano che con Aragonés ora guida, con un governo in minoranza, l’esecutivo catalano (33 seggi). Ma le cose sono più complicate oggi.

I repubblicani sono ai ferri corti con Junts, che abbandonò il governo due anni fa. Contro la retorica di Puigdemont non sono riusciti a far pesare che il loro leader, Junqueras, abbia trascorso anni in carcere (mentre Puigdemont era autoesiliato sì, ma libero), e neppure l’aver strappato al Psoe l’indulto e ora l’amnistia. Di risultati dell’azione di governo del primo presidente di Esquerra dalla guerra civile invece ne può mostrare ben pochi: è stata l’impossibilità di approvare i conti a portare Aragonés a convocare elezioni.

E poi ci sono gli altri partiti: approfittando della scomparsa di Ciudadanos (oggi con sei seggi), il Pp guadagnerà terreno: ora è ai minimi storici nel Parlament (3 seggi). Vox, guidato da un leader nero, Ignacio Garriga, secondo i sondaggi mantiene le posizioni (10 seggi). Entrambi i partiti si sono lanciati in proclami anti immigrazione, classici per Vox ma che il Pp non abbracciava così esplicitamente da tempo.

C’È POI L’INCOGNITA di altri due partiti di sinistra. I Comuns, guidati da Jessica Albiach (8 seggi), cercheranno di mantenere le posizioni con l’appoggio dell’ex sindaca di Barcellona Ada Colau e della leader si Sumar, e ministra del lavoro Yolanda Díaz, e approfittando del fatto che Podemos ha deciso di non presentarsi. Sono gli unici a puntare su un’alleanza a tre con socialisti e Esquerra. E poi gli anticapitalisti indipendentisti della Cup (9 seggi), che nella fase politica precedente avevano giocato un ruolo importante alleandosi con la destra catalana sotto la bandiera indipendentista.