Europa

Catalogna, l’affluenza record sancisce «due minoranze silenziose»

Catalogna, l’affluenza record sancisce «due minoranze silenziose»

Analisi del voto In questa fase «volatile» il rischio più grosso è che si torni alle urne già in primavera

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 23 dicembre 2017

Come in un gioco dell’oca elettorale, la politica catalana dopo il voto del 21 dicembre è tornata sostanzialmente alla casella di partenza.

Le «due Catalogne» che, tra colpi bassi e strategie spericolate, si erano confrontate nei mesi precedenti, quella indipendentista guidata dai loro leader esiliati o imprigionati e quella «costituzionalista» alla ricerca di un baricentro politico, si sono rivelate elettoralmente più coese di quanto ci si potesse aspettare alla vigilia del voto.

SE GLI SPOSTAMENTI DI VOTO fra i due blocchi sono assenti, o quasi, non si devono però sottovalutare i cambiamenti all’interno dei blocchi, e le conseguenze che questi avranno sulle strategie da seguire nell’immediato futuro.

Se c’è un dato che meglio degli altri descrive questa situazione di divisione e sospensione della politica catalana, è certamente quello della crescita della partecipazione elettorale. Un aumento di circa sette punti percentuali rispetto al 2015, concentrato soprattutto nelle aree più popolate e a maggiore presenza di spagnoli non nati in Catalogna, che però non ha comportato – come invece si aspettavano alcuni analisti – un vantaggio decisivo per i partiti schierati in difesa della Costituzione.

ALL’INTERNO DEL DATO RECORD sull’affluenza (81,9%: il più alto nell’intera storia elettorale della Catalogna), non si nasconde nessuna «maggioranza silenziosa» pronta a spostare l’ago della bilancia da una parte o dell’altra.

Al contrario, nel contesto politico catalano si stanno confrontando, nelle piazze e nei palazzi, due (ampie) «minoranze rumorose» che, prima e durante la campagna elettorale, non hanno mostrato disponibilità al dialogo e al compromesso. Che si tratti, in entrambi i casi, di minoranze è evidente dai numeri: gli indipendentisti hanno raccolto complessivamente il 47,5% dei voti (-0.3 punti rispetto al 2015) mentre il blocco costituzionalista, seppur in crescita di oltre 4 punti, non è andato oltre il 43,5%. È solo per effetto del sistema elettorale che la minoranza elettorale e sociale dei partiti pro-indipendenza si trasformerà molto probabilmente in una maggioranza politica e di governo, per quanto risicata.

L’IMMAGINE delle «due Catalogne», congelate e fieramente contrapposte, non è però immobile. Numerosi e significativi sono stati i passaggi e i travasi di voti dentro i due schieramenti. In quello indipendentista per la prima volta dal 1932 la sinistra repubblicana ha conquistato più consensi del cartello di centro-destra guidato da Puigdemont (Junts per Catalunya).

UN NUOVO EQUILIBRIO che comporterà non pochi problemi per la definizione della leadership all’interno della maggioranza e per la stabilità dell’eventuale nuovo governo. Perde voti e seggi, ma sarà ancora decisiva, la sinistra radicale (Candidatura d’Unitat Popular). Dall’altra parte, è stato soprattutto il Partito dei cittadini (Ciutadans) ad assorbire una porzione rilevante di consensi dal Partito Popolare di Rajoy, mentre deludono i socialisti catalani, i quali hanno visto anche restringersi il loro radicamento nella «cintura rossa» attorno alla città di Barcellona.
Neppure ha pagato la posizione intermedia, che nascondeva più incertezza che apertura al confronto, di Podemos e del sindaco di Barcellona, Ada Colau. In un clima da referendum che ha finito per compattare due minoranze rumorose, le voci fuori dai due cori hanno subito una netta sconfitta elettorale, soprattutto se si considera che alle elezioni generali del 2015 era stato proprio il partito di Pablo Iglesias a raccogliere il maggior numero di voti in Catalogna (24,5%).

CHE COSA SUCCEDERÀ ORA? Il rischio più grosso è che, tra maggioranze risicate e leader fuggitivi/sfuggenti, la Catalogna torni alle urne in primavera, nella speranza, al momento piuttosto tenue, che i due blocchi si «scongelino» e favoriscano la formazione di un governo con un mandato forte e chiaro.

In caso contrario, la politica catalana rimarrà pericolosamente sospesa tra interventi estemporanei del governo centrale e decisioni unilaterali (quanto velleitarie) delle autorità locali. La verità è che ci sono nodi che né la forza dei voti né tanto meno quella della polizia possono sciogliere. È soltanto la politica, che è arte e tecnica del compromesso, che potrà tirar fuori la Catalogna dal vicolo cieco nel quale si è cacciata.

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