Gli attentati di Barcellona hanno costretto il governo catalano a ripensare ai prossimi passi dello scontro politico con Madrid. La Generalitat continua a difendere la celebrazione di un referendum di autodeterminazione il 1 ottobre: l’attuale eterogenea coalizione governativa a Barcellona (nazionalisti di destra e sinistra, e gli assemblearisti della Cup) è unita da quest’unico obiettivo.

IL PROBLEMA È CHE IL GOVERNO di Madrid, a cui la costituzione attribuisce la potestà di convocare un referendum, non ha intenzione di permetterlo. La maggior parte dei catalani, dicono le inchieste, difende che siano loro a dover decidere se essere uno stato indipendente.

Il governo sostiene che questo va contro la costituzione, l’unità territoriale e l’uguaglianza di tutti i cittadini. Due posizioni che in questi anni non si sono spostate di una virgola, soprattutto perché il governo del Pp si rifiuta di riconoscere che esiste un problema politico. Un problema che peraltro, per la gran parte, è stato causato proprio dal Pp quando più di 10 anni fa, con al governo i socialisti, decise di impugnare lo Statuto catalano approvato con fatica dal parlamento di Barcellona, da quello di Madrid e da un referendum, legale, in Catalogna.

Quando, anni dopo, il Tribunale costituzionale, di nomina politica, aveva deciso di accettare buona parte del ricorso, in Catalogna iniziava un processo che è arrivato fino a oggi: da Madrid fanno la guerra alla Catalogna, dicono. E il governo di Rajoy, senza investimenti infrastrutturali, con ripicchette, come il rifiuto a collaborare coi Mossos o i continui scippi di competenze, fa di tutto per dar loro ragione.

La sensazione è che gli indipendentisti da una parte e il Pp, Ciutadanos (e buona parte dei socialisti) dall’altra abbiano bisogno gli uni degli altri per sopravvivere. Fatto sta che stavolta il Pp vuole impedire anche un simulacro di referendum, come quello che si tenne il 9 novembre 2014, quando, a colpi di ricorso, il governo del Pp bloccò il referendum consultivo «legale» (previsto da una legge catalana), ma alla fine si votò lo stesso: più di 2 milioni di persone, un terzo di quelli convocati al voto, si espresse, e per l’80% a favore di una Catalogna autonoma. A quel punto il Pp si è prodigato nel rafforzare gli strumenti legali per impedire il voto, o istituendo addirittura un controllo settimanale sui conti catalani per impedire che un centesimo venga speso in urne o schede elettorali.

PER QUESTO SIA IL PARLAMENT, sia il Govern di Barcellona sono cauti. Per ora non esiste neppure un atto di convocazione del referendum. E un gruppo di «cospiratori» discute in segreto in parlamento una legge di «scollegamento» da Madrid, che però ancora non è stata messa in discussione. Il Parlament ha approvato a luglio una modifica del regolamento per permettere l’approvazione di leggi in lettura unica e senza emendamenti (pensando proprio a questa), ma il governo centrale l’ha bloccata con un ricorso per incostituzionalità. Il segnale è evidente: no pasarán.

GLI INDIPENDENTISTI sembrano già avere l’alternativa: il 6 settembre approvare con un cambio di ordine del giorno in aula la legge. Il governo la bloccherebbe, ma l’11 settembre è pronta la megamanifestazione della Diada, la festa nazionale catalana, da anni l’occasione in cui l’indipendentismo mostra i muscoli. Se sarà imponente, il Govern si sentirà politicamente autorizzato per andare allo scontro con Madrid. Il Pp minaccia velatamente di usare l’articolo della costituzione che permette di sospendere l’autonomia catalana: ma sanno che questo inedito passo sarebbe la bomba atomica.

Gli indipendentisti però non hanno neanche convinto la maggioranza dei catalani: tanto dicono che gli basterà la maggioranza dei voti del 1 ottobre per dichiarare l’indipendenza. In questa situazione surreale sono Podemos, a livello nazionale, e i Comuni (il movimento di Colau) a livello catalano gli unici che difendono il referendum ma chiedono che ci sia limpidezza giuridica. Non a caso ricevono attacchi da entrambi i fronti.
Non è chiaro che succederà. Il presidente catalano Puigdemont ha solo un’arma: convocare le ennesime elezioni anticipate. L’ultima volta, senza la maggioranza dei voti, avevano dato la maggioranza dei seggi agli indipendentisti. Il rischio è l’ennesimo giorno della marmotta.