Una relazione lunga perché ripetitiva. Pedante nei commenti, evasiva sulle circostanze di fatto. Il ministro Nordio parla per 45 minuti alla camera dei deputati con il piglio di chi può dare lezioni anche se è lì per difendersi dall’accusa di aver promosso un’azione disciplinare mai vista contro due magistrate e un magistrato di Milano, i componenti del collegio che ha concesso la custodia cautelare con braccialetto elettronico al cittadino russo Artem Uss. Poi evaso, non essendo stata disposta per lui nessuna sorveglianza all’altezza del peso che – adesso – il governo gli attribuisce.

Per quanto Nordio lo neghi e per quanto allunghi la sua relazione, non riesce a qualificare l’azione disciplinare che ha fatto partire diversamente da un giudizio nel merito di un provvedimento giudiziario. Il che costituisce senza alcun dubbio un’ingerenza nelle prerogative dei giudici, tanto che il ministro si trova contro tutte le correnti della magistratura, da ieri anche i moderati e la destra. E gli avvocati penalisti, preoccupati che se un ministro intimidisce chi ricorre a misure alternative al carcere – tanto più un ministro che a parole professa il contrario – molti altri giudici eviteranno in futuro di disporre i domiciliari. L’argomento che Nordio sventola, fisicamente, nell’aula della camera a sostegno della sua iniziativa è di tipo quantitativo. L’ordinanza con cui la Corte di appello il 22 novembre 2022 ha deciso per i domiciliari sarebbe breve – «cinque righe» – e dunque di per ciò stesso prova di quella «grave e inescusabile negligenza» che dalla riforma Castelli in poi è chiesta per sanzionare disciplinarmente le toghe. Mentre il parere della procura generale, contraria ai disciplinari, molto lungo, «quattro pagine a margini ridotti», dunque certamente più fondato. Stranamente, il garantista Nordio nulla dice del contenuto, o almeno della lunghezza, delle richieste dei difensori di Uss. Il suo è comunque è un argomento che non regge: breve è la conclusione del collegio giudicante milanese, come è sempre breve il «decisum», mentre tutte le argomentazioni del pg e della difesa sono riportate nell’atto. Tant’è che la pg di Milano non ha impugnato in Cassazione, pur potendolo fare. Anzi, a dimostrazione che Nordio non può tirarla dalla sua parte, era in prima fila all’assemblea straordinaria che l’Anm milanese ha tenuto mercoledi sera, insieme a tutti i vertici giudiziari cittadini.

All’accusa da cui deve difendersi, Nordio dedica solo un passaggio autoassolutorio nel finale. Prima ricostruisce i passaggi della vicenda, lasciando però una scia di cose non chiare. Per esempio, adesso dice che la nota con cui il suo ministero ha raccomandato la custodia in carcere di Uss è del 20 ottobre 2022, fino a ieri nell’atto disciplinare aveva scritto il 19. Informa che già il 15 ottobre, due giorni prima dell’arresto alla Malpensa, il dipartimento di giustizia Usa aveva chiesto di fermare Uss. Evidenzia come tra Viminale, Farnesina e Giustizia si sia tentato di rallentare la richiesta di estradizione arrivata dalla Russia, mossa evidentemente politica eppure più tempestiva di quella degli Usa: «L’11 novembre perveniva una nota del 4 novembre con la quale veniva trasmessa la nota verbale dell’1 novembre…». Dieci giorni per trasmettere un documento urgente da un ministero all’altro. Soprattutto cerca di nascondere, sorvolando, che il suo ministero non solo ha provveduto a rassicurare gli Usa sull’efficacia degli arresti domiciliari con braccialetto, ma ha anche trascurato di girare alla Corte di appello una mail del 29 novembre – quindi prima che Uss fosse effettivamente scarcerato – in cui gli Usa raccomandavano di non farlo uscire.

Alla fine, il ministro prova a buttarla in politica. La sua iniziativa, dice, è analoga all’avviso di garanzia che abitualmente mandano i pm. E se nessuno può accusarli di intimidire i cittadini, allora nessuno – sostiene, confondendo clamorosamente i piani – può sospettare che lui possa intimidire i magistrati. E poi, conclude ritraendosi, lui ha solo tirato il sasso, sarà il pg di Cassazione a decidere se ci sono gli estremi dell’azione disciplinare: la decisione finale non spetta a me, dice. Ma anche questo è assai impreciso: quando a muoversi per primo è il ministro, la legge gli assegna anche l’ultima parola. Potrebbe insistere. Ma forse ha già capito che è meglio fermarsi.