Memphis blindata, come Minneapolis, tre anni fa. L’America che scende di nuovo in piazza. Il folle pestaggio, la brutalità dei poliziotti ai danni di Tyre Nichols che è la copia carbone del mix di manganelli e spray al peperoncino che è costato la vita a George Floyd, in Minnesota. La riforma della polizia, promessa nuovamente dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, per iniziare a placare la furia indisturbata delle forze dell’ordine sugli afroamericani. Il dibattito negli Stati Uniti non si ferma. E come spesso avviene, le stelle delle principali leghe sportive non si nascondono sulle violenze sommarie dei poliziotti.

“Siamo il nostro peggior nemico”, è stata la frase criptica di Lebron James, da 20 anni volto e muscoli della Nba, che in realtà mostra la frustrazione di una comunità sconvolta per i video delle violenze su Nichols e che è consapevole di non riuscire, nonostante il costante impegno civile, a determinare un cambio di marcia sui soprusi sui neri.

La redazione consiglia:
Memphis teme la rivolta dopo l’omicidio di Tyre Nichols

“Il cambiamento è necessario a tutti i livelli e noi dobbiamo fare la nostra parte. Non possiamo perdere la nostra umanità come società”, ha scritto su Twitter Chris Paul, uno dei veterani della Nba ed ex capo del sindacato giocatori.

L’archivio delle vittime accoglie nuovi elementi nel corso dei mesi. Da Trayvon Martin a Eric Garner, poi Mike Brown, poi Floyd. Ora, il 29enne Nichols. Afroamericani morti per le strade, quasi sempre disarmati: la benzina che ha prodotto la nascita di Black Lives Matter, nove anni fa, movimento abbracciato pubblicamente dalle star dello sport americano e che li ha portati a manifestare per le strade, nei parquet, sul palco di show e spettacoli, a denunciare morti e soprusi.

La Nba, anche più della Nfl, si è schierata pubblicamente quasi sette anni fa al fianco di Colin Kaepernick, il lanciatore dei San Francisco 49ers che si è inventato l’inginocchiamento durante l’esecuzione dell’inno nazionale per protestare contro le violenze sui neri, entrando in palese conflitto con l’amministrazione Trump.

Lo stesso Lebron James ha espresso diverse volte il suo disappunto alle politiche di Trump, che lo ha preso come bersaglio nella campagna elettorale per le presidenziali del 2020.

Nella Nba, assai critico verso il sistema conservatore che protegge le nefandezze delle forze dell’ordine sulla comunità afro è anche Gregg Popovich (allenatore dei San Antonio Spurs) e Steve Kerr, guida dei Golden State Warriors, figlio di un diplomatico americano ucciso negli anni ‘80 in Libano.

Sul caso Nichols, la Nba, lega composta quasi per l’80% di afroamericani, è intervenuta con una nota durissima attraverso i suoi canali social, invocando altri passi in avanti verso l’assunzione di responsabilità per l’ennesima morte generata dal manganello dei poliziotti.

Altri atleti con un peso sulla comunità afroamericana, sia della Nba che dalla Nfl, che pure si è schierata contro le violenze sui neri ma che sceglie spesso un profilo più basso poiché la maggioranza dei proprietari delle franchigie è di parte Rep, hanno pubblicamente chiesto un passo in avanti, che significa rimuovere l’immunità di cui godono nei fatti gli agenti di polizia, andare oltre le resistenze del sistema conservatore in Senato, approvando la riforma proposta dopo il caso Floyd. Il George Floyd Justice in Policing Act, che prima di entrare in vigore sarà preceduto da altre vittime.