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Caso Lodi, Scompiglio superiore

Caso Lodi, Scompiglio superioreIl consigliere del Csm Giuseppe Fanfani – lapresse

Il consigliere Csm del Pd Fanfani ipotizza un provvedimento contro i magistrati che hanno arrestato il sindaco renziano di Lodi. «L’arresto è fuori luogo». Bufera per le critiche del membro laico in quota democratici, subito isolato. L’Anm lo accusa di interferenza, lui offre una retromarcia

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 5 maggio 2016

L’uomo al centro della tempesta è un avvocato. Ed è il nipote di Amintore Fanfani, modello politico esplicito della ministra Boschi e implicito del presidente Renzi. È stato un deputato della Margherita nella legislatura più berlusconiana, quella del 2011. Capogruppo in commissione giustizia, ha condotto battaglie al fianco dell’Associazione magistrati e contro il Cavaliere indagato. Poi ha fatto il sindaco di Arezzo. Solo un anno e mezzo fa è tornato a Roma, quando il Pd renziano si è ricordato di lui per eleggerlo tra i membri laici del Consiglio superiore della magistratura. Da quella poltrona, ieri mattina, Giuseppe Fanfani ha scatenato la tempesta.
Ai suoi occhi di avvocato, l’inchiesta di Lodi che ha condotto in carcere il sindaco Pd è apparsa assai criticabile. Probabilmente anche ai suoi occhi di consigliere del Csm targato Pd. «Non ho mai visto in 40 anni e più di attività di penalista – ha detto a metà mattina – incarcerare alcuno per un reato come la turbativa d’asta. Non mi pare fossero necessari provvedimenti di cautela, ma se proprio lo si riteneva bastavano provvedimenti interdittivi e non certo coercitivi. Il carcere mi pare del tutto fuori luogo, frutto di una non equilibrata valutazione del caso». Un ragionamento condivisibile o meno, potendo accedere agli atti di indagine, che però ha il difetto di venire da uno dei componenti dell’organo di autogoverno della magistratura. Che si occupa delle carriere e della disciplina dei magistrati, non del merito dei provvedimenti giurisdizionali. Fanfani si è fatto prendere la mano dal momento, ha dato il suo contributo al dibattito che va sotto il nome di «scontro politica-magistratura». Lo ha detto lui stesso, aggiungendo la sua «grande stima nei confronti dei magistrati» ma giudicando il provvedimento di Lodi «figlio di un clima di tensione che non fa bene né alla giurisdizione né ai rapporti istituzionali». Nel frattempo proprio Renzi aveva cercato di raffreddare quel clima, evidentemente consigliato dai sondaggi che non premiano il presidente del Consiglio quando parte alla carica delle toghe.

E così Fanfani si è trovato spiazzato. Immediatamente isolato anche all’interno del Csm, se si eccettua qualche timida solidarietà dai laici di centrodestra. Anche perché il consigliere eletto dal Pd aveva alluso alla possibile apertura di una pratica contro i magistrati lombardi – «per verificare la legittimità dei comportamenti tenuti e dei provvedimenti adottati» – nella prima commissione del Csm, quella che si occupa delle incompatibilità di giudici e pm. Il presidente della commissione, il laico di Scelta civica Balduzzi, ha subito escluso questa possibilità: «Non è nostra compito intervenire su procedimenti in corso, l’ordinamento prevede un sistema di impugnazioni e garanzie» all’interno del procedimento giurisdizionale. Dal Pd renziano calava il gelo – «è una sua iniziativa autonoma» -, mentre sia la corrente di sinistra delle toghe, Area, sia dopo un po’ tutto il «governo» dell’Associazione nazionale magistrati guidata da Davigo, censuravano l’«interferenza indebita» di Fanfani. Il quale doveva spiegarsi e difendersi davanti al plenum del Consiglio superiore. Compiendo una sostanziale retromarcia.
«Allo stato non chiederò l’apertura di una pratica sui magistrati di Lodi», ha detto Fanfani ai colleghi consiglieri. Aggiungendo di non aver «mai immaginato di chiedere che il Csm entrasse nel merito dei provvedimenti». Ma se «sostenere pubblicamente che un magistrato fa bene è un dovere», allora «è un dovere anche dire che possa sbagliare. Lo confermo». I due consiglieri più «pesanti» del Csm, il vicepresidente Legnini e il primo presidente della Cassazione Canzio – sono loro che raccolgono le indicazioni del presidente della Repubblica, capo del Csm – prendono la retromarcia come una «leale e chiara ammissione di sostanziale irritualità della originaria dichiarazione alla stampa». E invitano a chiudere l’incidente facendo più attenzione, con la stampa. Legnini, eletto dal Pd insieme a Fanfani, prova a circoscrivere l’incidente: «Mi piace un Csm vivo e plurale».

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