Dopo una serie infinita di rinvii e rallentamenti il Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei carabinieri è riuscito a tornare nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), per indagare sull’attentato all’ambasciatore italiano del 22 febbraio 2021. Forse l’arrivo di Alberto Petrangeli in qualità di nuovo ambasciatore a Kinshasa è stato la chiave di volta per sbloccare la situazione e adesso i militari italiani sono rientrati in patria dopo una serie di interrogatori ed acquisizione di prove. Per i carabinieri è stato però impossibile raggiungere il Nord Kivu, dove ancora si combatte contro il gruppo ribelle M23 e la zona è in stato di guerra.

NELLA CAPITALE CONGOLESE i militari hanno incontrato gli investigatori locali, acquisito una quarantina di video sulle indagini effettuate e interrogato gli uomini arrestati circa un anno fa. I cinque avrebbero dichiarato che non sapevano che con il convoglio viaggiava l’ambasciatore italiano e che il loro scopo era solo quello di un rapimento, uno dei tanti che riempiono quotidianamente le cronache della Rdc.

Le immagini dell’arresto dei presunti assalitori scalzi e buttati per terra aveva fatto il giro del mondo, ma non c’era mai stata una netta presa di posizione da parte del governo centrale di Kinshasa, con solo le autorità locali a sbandierare questo successo. I dubbi che questa banda, il cui capo resta latitante, fosse stata in grado di organizzare da sola l’attacco al convoglio delle Nazioni unite erano subito stati molti.

OGGI LE NOTIZIE CHE ARRIVANO attraverso il nucleo dei Ros parlano di uno schema ben preciso, con due elementi che avrebbero seguito le vittime e gli altri insieme al capo che avrebbero preso d’assalto il convoglio portando via i nostri connazionali. Ma la dinamica dell’agguato appare poco credibile per non riuscire a capire chi fossero davvero gli occupanti delle due auto, anche se i diplomatici si muovono abitualmente scortati dai militari della Monusco. Perché sarebbero stati portati via solo Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci, quando nella seconda auto, anch’essa circondata secondo le deposizioni, si trovava Rocco Leone, vice-direttore del Programma alimentare (Pam) mondiale in Congo, contro il cui fuoristrada non è stato sparato un solo colpo? Leone racconta di essere caduto e per questo è stato «dimenticato» dai rapitori.

Del riscatto nei primi interrogatori ha parlato soltanto Mansour Rwagaza, il responsabile della sicurezza del Pam, che cita esattamente la cifra di 50 mila dollari, come nelle parole degli assalitori. Una cifra impossibile da avere con sé per l’ambasciatore italiano che non avrebbe mai potuto riscattare la sua libertà con questo fantomatico denaro. Poco credibile quindi l’ipotesi del rapimento lampo e addirittura inverosimile quello di un rapimento organizzato. Nella Repubblica democratica del Congo i sequestri saranno anche frequenti, ma manca tutta la logistica per la gestione di un ostaggio, soprattutto un “bianco” e di un peso internazionale del genere.

UN CASO che le autorità congolesi hanno sempre cercato di chiudere il prima possibile, prima incolpando i miliziani hutu del Fronte democratico di liberazione del Ruanda e poi “gettando in pasto” alla stampa un gruppo di presunti ladri e assassini, fra i quali c’erano, a dire del capo della polizia del Nord Kivu, anche gli assalitori dei nostri connazionali.

Starà ora alla magistratura italiana venire a capo di questa intricata matassa, ma anche il tanto sofferto e agognato ritorno dei Ros in Congo non sembra essere stato determinante per scoprire la verità sulla morte di Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo.