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Casini: «Su Giulio serve la verità, non un colpevole di comodo»

Casini: «Su Giulio serve la verità, non un colpevole di comodo»Pier Ferdinando Casini

L'intervista Casini, presidente commissione esteri del senato: con l’Egitto un legame forte, ma il realismo ha un limite. Giulio Regeni prototipo del meglio del nostro paese

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 6 febbraio 2016

«Non conoscevo Giulio Regeni, ma leggo che ha l’età delle mie figlie grandi, che ha girato per il mondo. Che era un ragazzo pieno di curiosità, un ragazzo per bene, impegnato. Scriveva sul manifesto forse anche a rischio anche della propria vita». Il primo pensiero di Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione esteri del Senato, è un pensiero da padre.

«Per me questo è il prototipo delle persone migliori di un paese. Non so come votasse, non so se le sue idee combaciassero con le mie. Non mi interessa. Mi interessa che era un ragazzo pieno di buona fede, volontà e passione civile».

Presidente, all’inizio le autorità egiziane hanno dato versioni contraddittorie sulla morte di Giulio.

La vicenda è iniziata male. C’è stato un tentativo di depistaggio, si è parlato di delinquenza comune, di incidente stradale. Peraltro l’eterogeneità delle tesi era evidente: nello stesso giorno a distanza di pochi minuti autorità dello stesso paese davano versioni opposte dello stesso fatto. Ma il tentativo di depistaggio non è andato a buon fine anche grazie anche alla ferma reazione dell’Italia, a partire dal rientro della delegazione commerciale. Mi auguro che l’Egitto non voglia mettere a repentaglio un rapporto bilaterale così forte. Per noi la morte di Giulio è una vicenda gravissima. Serve la verità.

Dal Cairo arriva la notizia di due arresti. È un buon segno?

Mi auguro che le indagini prendano i connotati della serietà, anche grazie alla collaborazione degli inquirenti italiani. Non ci interesserebbero arresti immediati e di comodo per soddisfare l’opinione pubblica. La nostra opinione pubblica è matura. Vuole la verità, e in base alla verità, l’arresto dei responsabili. Diffido delle indagini che si risolvono nel giro di poco. Danno l’impressione che se pasticci ci sono stati prima, possono esserci anche dopo.

Diceva che quello fra Italia e Egitto è «un rapporto forte». In queste ore anche l’opinione pubblica scopre che il regime militare di Al Sisi calpesta i diritti umani su scala larghissima.

I vicini non si scelgono. Noi non possiamo fare a meno di un rapporto buono con l’Egitto che, non dimentichiamolo, è a sua volta oggetto di attentati terroristici. Si vuole destabilizzare l’Egitto per allargare il fronte del terrore. Ma questo non significa che esprimiamo assenso verso i metodi che usano le autorità egiziane. E aggiungo: a volte delle migliori intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. Guardate cos’è successo con Gheddafi. Abbiamo contribuito a rimuovere un dittatore, ma oggi la situazione in Libia non è migliore di prima. Ma tutto questo prescinde dal discorso per il nostro caduto: vogliamo la verità. Diversa è la riflessione geopolitica: le primavere arabe hanno avuto esiti diversi. In Marocco si è arrivati a una riforma costituzionale che ha fatto avanzare i diritti delle donne. In Tunisia, nonostante tutti i problemi, un partito islamista ha accettato di perderle. Vorremmo questo modello, sappiamo che l’Egitto non lo è. Ma la politica internazionale è fatta di realismo. In quell’area l’unico paese democratico è Israele, eppure ci riserviamo di criticare tanti aspetti della sua politica, come gli insediamenti.

Quindi per ’realismo’ sulla morte di Regeni l’Italia potrebbe accettare una soluzione pur che sia?

No. Il realismo ha dei limiti. Questo ragazzo è un figlio del nostro paese. Ma ribalto il suo ragionamento: l’Egitto si può permettere una verità di comodo anche meno di noi. Influenzerebbe i suoi rapporti con l’Italia.

Perché?

Con quello che sta succedendo in Libia e nel Mediterraneo, con le iniziative assunte in quell’area, e anche con le scoperte dei giacimenti di gas, l’Egitto non può fare a meno di partner importante come l’Italia. Un partner che non gli ha mai voltato le spalle. Da qui mi pare che nascano le ripetute telefonate di Al Sisi a Renzi. Le autorità egiziane sanno che questa vicenda va maneggiata con cura e rigore. Ma credo che abbiano capito la gravità della vicenda, e infatti hanno accettato subito la collaborazione del team italiano alle indagini. Al Cairo qualcosa potrebbe essere sfuggito al controllo delle autorità. Ma se è capitato questo, lo vogliamo sapere: con nomi e cognomi.

Si è fatto un’idea di com’è stato ucciso Giulio?

Ho un’idea personale, e mi auguro che venga smentita nei fatti. Potrebbe essere successo che in nome e per conto della lotta al terrorismo in Egitto si tollerino abusi che in Europa non sarebbero neanche concepibili. Nell’apparato militare potrebbero esserci schegge impazzite, responsabili della vicenda. Ma, ripeto, mi auguro di essere presto smentito.

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