Mentre gli Yanomami continuano a morire, uccisi da avidi interessi che né l’elezione di Lula né la creazione di un ministero riescono a fermare, il carnevale di Rio ne celebra la concezione del mondo.

Il Salgueiro ha infatti intitolato il proprio inno del carnevale Hutukara, nome dato dagli sciamani Yanomami al cielo che nel passato è caduto, creando il mondo in cui viviamo. Per evitare un nuovo crollo, Omana ha piantato nella terra grandi pezzi di metallo, appartenenti al vecchio cielo, che non devono essere estratti dai napëpë (i non indigeni). Per questo la fine del mondo si associa alla caduta del cielo, che non sarebbe la prima, come risultato del continuo errare umano.

L’inno nasce dall’incontro tra la comunità e lo sciamano Davi Kopenawa e diviene un ponte tra la favela e la foresta. Come per l’inno della Mangueira História Pra Ninar Gente Grande nel 2019, Hutukara riscatta il potere di resistenza della festa più popolare del Brasile. Nella sua prima visita alla comunità, Kopenawa aveva dichiarato: Non ho mai visto una persona che abita in un posto così, sopra la roccia. Nella mia cultura Yanomami, le pietre non proteggono».

Foto Ana Maria Machado

Le favelas, arroccate sulle colline della città meravigliosa sono, nello stereotipato immaginario collettivo, l’epicentro del crimine e della violenza, avvolte in un paradossale sentimento di rifiuto e fascino, ma anche la culla del samba, il funk (la produzione culturale che maggiormente risente di questa contraddizione), il jongo (il ritmo afro-brasileiro considerato l’origine del samba) e responsabili per la produzione della maggiore festa del mondo: il carnevale carioca. E’ nei barracões che la festa comincia ad esistere. Non per caso la parola definisce i luoghi dove i carri allegorici e i costumi vengono prodotti, ma anche le case di culto delle religioni afro-discendenti. Il carnevale di Rio è negro. Forse per questo Bolsonaro lo odiava tanto.

Tale sincretismo affiora nella cerimonia che precede l’apertura del carnevale: a lavagem da Sapucaí. Diversi gruppi religiosi, uomini e donne vestiti di bianco, lavano e cospargono di fumo di erbe sacre il sambodromo, al suono degli atabaques, cantiche e danze circolari delle baianas, donne iniziate nel Candomblé per proteggere le persone che celebrano, e creano, la festa. E’ a questo che si deve dare attenzione quando gli xapiri, gli spiriti della foresta, si uniscono agli orixá, le divinità africane yoruba assorbite dalle religione afro-diasporiche brasiliane, nell’avenida.

Foto Silvio Essinger

Mauro Cordeiro, studioso del carnevale, afferma che Fernando Pinto (un carnavalesco negro) fu il primo a presentare rivendicazioni del popolo indigeno con l’inno Como Era Verde Meu Xingu della scuola Mocidade Independente nel 1983. Nel 2017, il cacique Raoni, una delle figure maggiormente autorevoli della lotta indigena, partecipò alla sfilata della Imperatriz Leopoldinese, con l’inno Xingu, o Clamor que Vem da Floresta. Domenica scorsa Davi Kopenawa insieme a numerosi Yanomami e parenti di altre famiglie, tra loro Ailton Krenak e l’artista Daiara Tukano, ha sfilato con la scuola. Ai carnevaleschi – i coreografi del carnevale – lo sciamano ha fatto due richieste: di non ritrarre un generico indigeno, ma gli Yanomami, con i loro tratti costumi e cosmologia, e di non trattarli come sofferenti, ma come un popolo resiliente, di grande saggezza.

L’inno del Salgueiro cita diversi elementi della cosmologia yanomami. All’origine, esistevano solo Omama e suo fratello Yoasi. Mentre Omana creò la foresta, le montagne, i fiumi, il cielo, il sole, la notte, la luna e, dall’unione con Thuëyoma – una donna nata pesce – il popolo Yanomami, il fratello Yoasi creò l’invidia, la morte, le malattie e i non indigeni (i napëpë). Diversi i riferimenti ai poteri distruttori dei Yanomami. Yoasi è paragonato alle «buone famiglie», un’allusione alla famiglia tradizionale bolsonarista, che adora le armi e disprezza la foresta e la sua gente. Bolsonaro aveva affermato: «stanno diventando ogni giorno più umani, come noi». «Ho il sangue di chi semina la nazione originaria», il sangue di chi attraverso il suo lavoro, uomini e donne per la maggior parte non bianchi, costruisce il Brasile. Il riferimento è all’opportunismo di chi appoggia la causa indigena «per pubblicare sul tuo profilo», mentre, al contrario, rende tributo all’ambientalista Bruno Araújo e al giornalista Dom Philips, uccisi nel 2022 dai cacciatori d’oro: «Siamo parte di chi se ne va, come Bruno e Dom».

La scuola ha presentato un’intera ala di militari per denunciare le violazioni a cui gli indigeni sono soggetti dalla dittatura fino ad oggi. Secondo Ailton Krenak, «quando la nostra mitologia acquista significato, smettiamo di essere visti come qualcuno inferiore. Diventa una freccia per il popolo della foresta, perché la sola possibilità che ci resta è un Brasile Indigeno».

Foto Silvio Essinger

Pensando al calcio italiano, il Gruppo Speciale è l’eccellenza della serie A, da cui il Salgueiro non è mai retrocesso. L’impatto dell’inno di queste scuole è enorme. Considerato come il maggior spettacolo al mondo, trasmesso a milioni di persone, la sfilata può riverberare un messaggio che va ben oltre il momento. L’inno della Mangueira «Brasile, è ora di ascoltare le Maria, Mahins, Marielles, Malês» del 2019, oltre a divenire lo slogan di resistenza delle donne nere, che rappresentano il 27% della popolazione, il più grande gruppo demografico brasiliano, non smette di ispirare mostre, dibattiti e pubblicazioni. Nel libro Idee per rimandare la fine del mondo, Ailton Krenak ricorda che  «(…) esiste un’enorme intolleranza verso chi è ancora in grado di sperimentare il piacere dell’essere vivo, di danzare, di cantare (…). Il tipo di umanità zombie cui siamo chiamati ad aderire non tollera tanto piacere, tanto godimento della vita».

Secondo la giornalista brasiliana Eliane Brum,  «nella sfilata del Salgueiro, nonostante tutte le contraddizioni, si celebra un’alleanza tra persone che intendono la gioia come un potente strumento di resistenza – la gioia come forza di agire». Il Salgueiro ha unito un popolo che affronta il genocidio della gioventù nera nelle città del Brasile a un popolo che muore a causa della distruzione causata dall’attività mineraria dominata dalla criminalità organizzata e la convivenza della politica e dei militari. Mostra una terra brasiliana che si sta riconoscendo sempre più negro-indigena.