«Quale cambiamento è maturato in chi ha preso parte alla lotta contro il Tav? Non sappiamo se l’alta velocità Torino-Lione sarà fermata, ma sappiamo che andare in quella direzione ha reso la vita delle persone più bella». Così Carlo Bachschmidt racconta La scelta, il film che ha ideato e scritto insieme a Stefano Barabino e Michele Ruvioli sugli ultimi dieci anni di lotta in Valsusa contro il progetto del Tav. Presentato all’ultimo Torino Film Festival, La scelta sarà proiettato e introdotto dagli autori stasera al cinema Farnese di Roma all’interno della neonata rassegna «Solo di martedì», dopo mesi di presentazioni tra sale, spazi autogestiti, circoli e centri sociali.

Carlo Bachschmidt

«IL FILM è prodotto da noi tre – spiega Bachschmidt – e se questo significa avere meno visibilità, allo stesso tempo si sta generando un forte passaparola. Scegliere l’autoproduzione è uno dei motivi per cui ci sono voluti più di dieci anni a realizzarlo, da un lato si ha più libertà ma dall’altro ci siamo dovuti impegnare molto per trovare le risorse necessarie. L’altro motivo invece è più politico, nel 2011 era il decimo anniversario del G8 di Genova ed era uscito il mio film Black Block che parlava di quanto accaduto in quelle giornate. In quel frangente ci siamo ritrovati con Stefano Barabino e Michele Ruvioli condividendo l’idea che il futuro dei movimenti sociali fosse in Valsusa. La risposta mediatica aggressiva alla caduta dal traliccio di Luca Abbà e la sensazione che i movimenti potessero imparare qualcosa di nuovo rispetto a Genova, come il non dividersi tra buoni e cattivi, non delegare e non rinunciare alla propria autonomia, ci ha spinto a realizzare il film. Una spinta che si è conclusa naturalmente nel 2020, quando Nicoletta Dosio è andata in carcere e abbiamo fatto le ultime riprese».

Carlo Bachschmidt
Dagli anarchici ai cattolici c’era il desiderio di incontrarsi legato all’urgenza di essere lì fuori a manifestare insieme il giorno dopoLuca Abbà e Nicoletta Dosio sono solo due degli attivisti protagonisti de La scelta, che restituisce la collettività e la stratificazione del movimento No Tav concentrandosi e lasciando però la parola ad alcune figure centrali della lotta in Valsusa. Bachschmidt racconta così l’immersione decennale in questo contesto particolarissimo, dove l’opposizione a una «grande opera» ha coalizzato e dato vita a relazioni inedite e a una condivisione di conoscenze importante: «Ci è stata data la massima fiducia e noi abbiamo voluto guadagnarcela non imponendo delle intenzioni precostituite, visto anche il rapporto complesso tra i movimenti e l’uso delle immagini che fanno ad esempio i media. Abbiamo vissuto lì per un anno di fila ed eravamo attoniti per la ricchezza di stimoli e le diversità che si confrontavano, dagli anarchici ai cattolici c’era il desiderio di incontrarsi e conoscersi legato all’urgenza e al bisogno di essere lì fuori a manifestare insieme il giorno dopo. I valsusini hanno avuto una parte importante in tutto questo, hanno accolto chi veniva da fuori lasciando spazio alle diverse identità, ma facendo valere le proprie esigenze con l’autorevolezza e il sorriso». Nel film si intersecano diversi piani di senso, quello degli attivisti e delle attiviste che spiegano le ragioni della propria lotta, quello meccanico dei lavori in corso nel cantiere, quello della natura della Valle e quello giudiziario.

LA REPRESSIONE diventa infatti presto protagonista nella narrazione e nelle vite delle persone coinvolte nel movimento: «La magia è durata fino al 2014 trovando l’apice nelle azioni di sabotaggio dei lavori, alle quali sono seguiti numerosi processi con migliaia di imputati. È piuttosto impressionante l’impegno profuso dalla Procura di Torino. A quel punto, venendo a conoscere la realtà del carcere, la resistenza è diventata anche una questione individuale: c’è chi ha fatto i conti con se stesso e compreso che il suo percorso era finito, c’è invece chi è andato avanti nonostante tutto».
Oggi il movimento non è al centro del dibattito pubblico come alcuni anni fa, ma uno degli aspetti messi in luce dal film è proprio la capacità di resistere e non snaturarsi nelle diverse fasi attraversate, tra cui quella della «promessa tradita» del M5S. Anche perché nell’opposizione al progetto Tav in Valsusa si saldano tante questioni sul futuro da immaginare per i territori, tra velocità turbocapitalista per una crescita cieca e l’aspirazione al rispetto della Terra e delle sue risorse. «La capacità di questo movimento è sempre stata quella di saldare la riflessione a temi più generali, ciò che emerge in ultima analisi è un fare politica dal basso per provare a vivere una vita diversa da quella imposta, per immaginare ancora una volta che ‘un altro mondo è possibile’». Un processo collettivo che nel suo piccolo si è rispecchiato anche a livello creativo tra i tre autori del film, «ci siamo confrontati tanto, approfondire le differenze è stato utile ma non abbiamo scelto la via del compromesso: le poche cose sulle quali non è stato possibile trovare una sintonia, le abbiamo tenute fuori dal lavoro».