Caracas-Bogotà, alta tensione
America latina Dopo l’attentato contro Maduro, Venezuela sempre più isolato. Arrestati sette sospetti. Rivendica un gruppo di militari ribelli. Santos risponde: «Avevo di meglio da fare»
America latina Dopo l’attentato contro Maduro, Venezuela sempre più isolato. Arrestati sette sospetti. Rivendica un gruppo di militari ribelli. Santos risponde: «Avevo di meglio da fare»
«Hanno tentato di assassinarmi. Tutto punta sulla responsabilità dell’estrema destra venezuelana in alleanza con l’estrema destra colombiana». Con parole nette e accuse pesanti il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha sintetizzato in un intervento alla tv di stato gli eventi di sabato pomeriggio quando, mentre era in corso a Caracas una parata per celebrare l’81esimo anniversario della Guardia nazionale, si sono verificate esplosioni nel cielo di fronte al palco del presidente e delle autorità.
IL MINISTRO DELL’INTERNO Néstor Reverol, ha informato che si è trattato di due droni modello Dji M600, disegnati per uso industriale e caricati con un chilo di esplosivo (militare) C4, carica sufficiente per colpire a 50 metri di distanza. Uno è stato «disarticolato» mediante inibitori di segnale mentre volava vicino al palco presidenziale. Il secondo ha perso il controllo (a distanza) ed ha colpito, esplodendo, un edificio vicino. Sette militari sono stati feriti dall’esplosione, tre con «prognosi riservata». Reverol ha informato che sono state arrestate sette persone individuate come «gli autori materiali del tentato assassinio del presidente».
In rete intanto era giunto attraverso Twitter e Instagram l’annuncio con il quale un gruppo di militari ribelli del Movimento nazionale «Soldados de Flanelas» (Soldati in flanella) rivendicava l’attentato. L’«operazione» – denominata Félix – consisteva «nel far volare sul palco del presidente due droni caricati con esplosivo C4» con comando a distanza per farli esplodere. «Cecchini della guardia presidenziale hanno colpito i droni prima che raggiungessero l’obettivo. – prosegue il comunicato – Abbiamo dimostrato che sono vulnerabili. Questa volta non abbiamo avuto successo, però è questione di tempo».
Il ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, ha convocato domenica il corpo diplomatico per spiegare la dinamica «dell’attacco terroristico» e ha confermato la rivendicazione del Movimento dei «Soldados de Franelas». Per Arreaza si tratta di una cellula di rinnegati che faceva capo al sergente Óscar Pérez di 36 anni che nel giugno dell’anno scorso, a bordo di un elicottero della polizia, aveva attaccato con granate le sedi del Tribunale supremo di Giustizia e del Ministero degli Interni. Dopo essere riuscito a fuggire Pérez era entrato in clandestinità. Lo scorso gennaio era stato ucciso nel corso di un assalto alla casa in cui si rifugiava.
PER L’OPPOSIZIONE il sergente Pérez era stato deliberatamente abbattuto per impedire che potesse fare rivelazioni in grado di mettere in difficoltà il vertice bolivariano. Specie in uniforme. Il Movimiento Nacional Soldados de Franelas è stato formato 4 anni fa e raggruppa «ufficiali, sottufficiali, soldati semplici» con l’obiettivo di riunire «tutti i gruppi di resistenza a livello nazionale per dare efficacia alla lotta contro la dittatura» di Maduro.
L’opposizione ha preso le distanze da «soluzioni violente» della «crisi umanitaria» che attanaglia il Paese. Gli oppositori temono però che il governo possa «approfittare dei fatti di sabato per criminalizzare chi legittimamente e democraticamente si oppone» alla sua politica.
LE FORZE AMATE bolivariane si sono prontamente schierate a sostegno di Maduro e in un comunicato letto in tv dal ministro della Difesa Patrino López si sono espresse «contro ogni tentativo di cambiare il governo eletto mediante azioni violente e terroristiche». Sono state rafforzate le misure di sicurezza nella capitale e nel Paese, in particolare al confine con la Colombia, date le accuse rivolte da Maduro al presidente uscente Juan Manuel Santos che ieri ha risposto via Twitter: «Avevo cose più importanti da fare».
LA PRIMA CONSEGUENZA del fallito attentato di sabato comporta una forte tensione con Bogotà. Oggi Santos conclude la sua presidenza e gli succede Iván Duque, esponente della destra radicale guidata dall’ex presidente Uribe che potrebbe essere la punta di lancia di uno schieramento latinoamericano disposto ad appoggiare un intervento armato attuato o proposto dagli Usa per mettere fine al governo di Maduro. Il presidente Trump lo scorso 18 settembre aveva minacciato di «ripristinare la democrazia in Venezuela».
Mike Pompeo allora direttore della Cia e in seguito il vicepresidente Pence si erano mossi esplorando questa opzione con una serie di paesi del Centro e Sud America. Per iniziativa di Santos, lo scorso maggio la Colombia – che ospita sei basi degli Usa – è diventata partner globale della Nato.
Il presidente venezuelano ha ricevuto il caldo sostegno dal nucleo duro dell’alleanza bolivariana: Cuba, Bolivia, Nicaragua. Ma l’isolamento – se non le tensioni – con la maggioranza dei paesi dell’America latina acuisce la grave crisi economico-sociale del Venezuela, dove l’inflazione galoppa verso le cinque cifre e ormai arrivare a fine mese è un problema quasi insolubile per una consistente parte della popolazione. Maduro ha annunciato «un programma di recupero economico» che dovrà iniziare il 20 agosto e prevede una «riconversione monetaria»: l’emissione di nuova moneta che, secondo lui, avrà «cinque zeri in meno» per far fronte alla «guerra economica» voluta dagli Usa e «facilitare le transazioni finanziarie e proteggere la nostra moneta».
IERI IL POLO PATRIOTTICO – che raggruppa i partiti alleati del governo – ha organizzato una marcia popolare nel centro di Caracas in appoggio al presidente.
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