Lo scioglimento delle Camere in Italia ha interrotto ogni speranza di approvazione della proposta Magi-Licatini sulla legalizzazione della coltivazione di quattro piante, sulla cancellazione delle sanzioni amministrative e sulla distinzione delle pene per i fatti di lieve entità.

In quegli stessi giorni i Ministri competenti per le politiche sulle droghe di Germania, Malta, Olanda e Lussemburgo si sono riuniti nel Granducato per un vertice di riflessione comune sulle prospettive di riforma sulla cannabis.

La discussione è stata incentrata sull’esame delle convenzioni internazionali e della normativa europea, e poi sulle opportunità legate ad una reale valutazione degli obiettivi in materia di salute pubblica e sicurezza. La rappresentanza del governo olandese, nelle sabbie mobili della sperimentazione della legalizzazione della produzione e distribuzione della cannabis che arriva nei coffeshop, non ha sottoscritto la dichiarazione congiunta.

Esiste quindi un gruppo di Stati europei che intende affrontare con uno sguardo comune la regolamentazione legale della cannabis. Vanno sottolineati alcuni punti della dichiarazione, innanzitutto terminologici.

Si definisce come ambito di discussione la regolamentazione della cannabis per “usi non medici e non scientifici”, richiamando in qualche modo quello spiraglio presente nelle convenzioni approfondito in un’analisi presentata in questa rubrica (vedi G. Zuffa, 30 marzo 2022).

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Viene affrontato anche il nodo politico, primo fra tutti la necessità di bilanciamento fra l’approccio in termini di salute pubblica e quello della giustizia criminale nell’ambito di politiche che, a partire dalle convenzioni, hanno l’obbiettivo primario “della salute e del benessere dell’umanità”.

Per la Ministra della Salute lussemburghese, Paulette Lenert, “è necessario un cambiamento di paradigma nella politica sulla cannabis, che dovrebbe basarsi sulla responsabilità primaria di adottare un approccio coerente, equilibrato e basato sulle evidenze, mirando al risultato più vantaggioso per la società, ponendo l’accento sulla prevenzione e sulla riduzione dei rischi e dei danni attraverso la regolamentazione piuttosto che la repressione”.

Negli Stati Uniti, intanto, il capogruppo democratico del Senato Chuck Schumer, insieme ai colleghi Cory Booker e Ron Wyden, ha presentato il Cannabis Administration and Opportunity Act (CAOA) che toglie la cannabis dalle sostanze vietate dalla legge federale, garantisce la possibilità ai singoli Stati di legalizzarla senza interferenze federali e stabilisce meccanismi per aiutare a riparare i danni creati dal proibizionismo, sia dal punto di vista economico che della discriminazione etnica.

La proposta di legge, che si affianca al MOREact già approvato dalla Camera, apre il difficile confronto al Senato con una forte leadership politica, data dall’imprimatur del capo della pur esigua maggioranza democratica.

Con le elezioni di medio termine alle porte che rischiano di cambiare i rapporti di forze a favore del Partito Repubblicano, i tempi si fanno molto stretti.

L’azione politica può però godere di un forte sostegno nell’opinione pubblica. In un sondaggio curato da The Economist e YouGov.com il 45% degli intervistati sostiene che il governo federale dovrebbe legalizzare l’uso della cannabis a livello nazionale. Un consenso pari a quello per il matrimonio egualitario e superiore ai favorevoli ad una norma nazionale sull’aborto (41%) o sul suicidio assistito (32%).

Per un ulteriore 21% poi la decisione di legalizzare o meno la marijuana dovrebbe essere lasciata ai singoli Stati, che è poi quello che fanno CAOA e MOREAct, mentre solo il 20% si è dichiarato favorevole alla proibizione nazionale.

E in Italia? Il rischio è che il tema sia lasciato alle vane e ideologiche proclamazioni di lotta alla droga della destra. Per una volta, vorremmo essere smentiti.