È strano finire, nel bel mezzo dell’Arsenale, dentro al cuore pulsante di una torbiera. Ma alla Biennale veneziana può succedere anche questo: basta mettersi in fila e pazientemente aspettare il proprio turno per entrare nel padiglione cileno. Lì, la mostra Turba Tol Hol Hol Tol immerge il visitatore in un mondo primigenio, dove la natura segue auree regole per costruire la sua strada, a volte in compagnia di esseri umani rispettosi della sua infinita sapienza.

Qui, l’installazione umida che esala vapori spirituali è il frutto della collaborazione di un team di creativi cileni, costituito da Ariel Bustamante (artista visiva), Carla Macchiavello (storica dell’arte), Dominga Sotomayor (cineasta) e Alfredo Thiermann (architetto). Ma fra i coautori del progetto non mancano scienziate come Barbara Saavedra (esperta di biodiversità) o la scrittrice Selk’nam Hema’ny Molina, solo per citare alcuni. «I Selk’nam hanno abitato le torbiere ottomila anni prima dell’arrivo dei coloni, che li ha sterminati», dice la curatrice Camila Marambito, fondatrice del programma Ensayos, piattaforma di ricerca che unisce diverse discipline.

La Biennale dedica grande attenzione alle culture indigene e al loro rapporto armonioso con la natura. Lo fa anche il Cile, fin dal titolo del padiglione in lingua dei Selk’nam…
Le considerazioni di Turba Tol rispetto al popolo Selk’nam sono guidate dalle politiche del Direttivo di etica di Hach Saye, una fondazione creata per rafforzare la loro cultura (con la visione e le esperienze di una famiglia indigena del 21° secolo), così come per creare consapevolezza e intraprendere azioni di tutela ambientale nella Isla Grande de Tierra del Fuego. In tale quadro ideologico, Saye organizza diverse conferenze sulla loro cosmologia e tradizioni. Da questo flusso di informazioni si evince l’importanza di educare alla lingua Selk’nam: in un futuro non troppo lontano, potrà essere tramandata così com’è, senza più miti e credenze infondate. In quella lingua, «Tol» significa cuore e «Hol-Hol» torbiera. Il nome completo della mostra, Turba Tol Hol-Hol Tol sposta in primo piano i protagonisti di una storia messa a tacere che coinvolge sia le torbiere della Patagonia che i loro custodi.

La comunità indigena Selk´nam Covadonga Ona sta facendo molti sforzi per rivitalizzare questa lingua che corre il pericolo di scomparire, a causa del genocidio (avvenuto negli anni 60, ndr) e della successiva «cilenizzazione» del territorio. Ha fondato una corporazione (Corporación Selk’nam Chile) per il salvataggio, la valorizzazione e il rafforzamento dell’identità culturale. In ballo c’è anche la possibilità di rivendicare la propria esistenza (attualmente non sono riconosciuti perché considerati estinti dopo il genocidio, ndr). Dal 2019 la corporazione si sta battendo per un progetto di legge, chiedendo l’integrazione del popolo Selk’nam nella legge indigena nº 19.253 del Cile. È stato avviato un processo che ha portato il progetto a essere discusso nella Commissione dei diritti umani e dei Popoli indigeni, dove con l’unanimità dei voti è passato alla Camera dei deputati il 23 e 24 giugno 2020. Poiché il suo avanzamento richiedeva uno studio per determinare la presenza del popolo Selk’nam ai giorni nostri – antropologico, storiografico e genealogico – le cui risorse dovevano provenire dallo Stato attraverso una gara d’appalto, tutto si è fermato. Il 2021, però, è stato segnato da campagne mediatiche che chiedevano pubblicamente al governo di finanziarlo, e si è arrivati finalmente alla pubblicazione del bando: si spera che nel 2022 questa vicenda giunga a conclusione.

Cosa c’è da sapere sulle torbiere della Patagonia, metafora di «resistenza» alla distruzione dell’ecosistema?
Le torbiere svolgono un ruolo critico nella regolazione del clima del pianeta, catturano il carbonio dall’atmosfera e lo immagazzinano in profondi strati di torba, che è la materia organica di cui si compongono. Sono, secondo la Ucn, «tra gli ecosistemi più preziosi della terra». Nonostante il loro ruolo fondamentale, la biodiversità unica e il significato ecologico e archeologico passano quasi inosservate, da un lato per la posizione «periferica» (si situano perlopiù negli estremi del pianeta, Canada, nord Europa, Russia, ndr), e dall’altro per la loro rarità. Questa doppia condizione aumenta l’esposizione a gravi minacce come l’estrazione mineraria, agricola e il drenaggio per la costruzione di strade. Una volta prosciugate e distrutte, passano dall’essere pozzi di assorbimento del carbonio a fonti di enormi emissioni di gas a effetto serra. All’interno di questo quadro globale, le torbiere patagoniche sono ecosistemi fondamentali perché si trovano in un ottimo stato di conservazione e hanno una notevole estensione. Distribuendosi in aree con un’impronta umana relativamente bassa, sono anche lontane dall’essere parte dell’immaginario ecologico nazionale. A differenza di altri ecosistemi come le foreste, gli oceani, i deserti e le alte montagne, non sono state oggetto di una «tradizione paesaggistica».. Inoltre, la loro conservazione biologica è intrinsecamente legata alla rinascita del popolo Selk’nam. Il Cile e l’Argentina hanno compiuto passi decisivi verso la conoscenza, la valorizzare, la protezione e l’uso sostenibile di questi luoghi. Entrambi i paesi hanno integrato le torbiere nei loro Ndc (Nationally Determined Contributions). Turba Tol (in collaborazione con Patagonian Peatlands Initiative) immagina un territorio dove siano conosciute e custodite, assicurando la loro biodiversità e il contributo al benessere delle persone.

Fauna, flora e ghiacciai della Patagonia: sono in corso profondi cambiamenti…
La doppia condizione biologico-naturale e socio-culturale delle torbiere patagoniche è la protagonista di questo padiglione. Con artisti che lavorano in collaborazione con attivisti e scienziati, la mostra Turba Tol evidenzia come la ricerca interdisciplinare possa controbilanciare l’ignoranza esistente sulle torbiere e creare una piattaforma per la conoscenza di questi ecosistemi non solo per gli addetti ai lavori. A tale scopo, è stato sviluppato un laboratorio funzionale, lo SphagnumLAB, all’interno del padiglione stesso. Consiste in una coltura di 60 mq di Sphagnum palustre che è stata raccolta da un campo di ricerca di paludicoltura (uso di torba umida in agricoltura e forestazione) in Germania. All’interno, è installata in una laguna con un sistema di filtraggio dell’acqua e un’illuminazione adeguata che garantisca allo Sphagnum di prosperare. I suoi dati (lunghezza, altezza, peso) saranno raccolti durante la durata della mostra. Per creare il giusto ambiente per la crescita di questo muschio abbiamo lavorato con gli scienziati del Greifswald Mire Centre assicurandoci che i protocolli per la qualità dell’acqua, le fonti di luce, la temperatura, l’umidità e la nutrizione rispettassero le loro linee guida di ricerca e le esigenze dello Sphagnum.

Come è stato concepito questo lavoro complesso?
Turba Tol si ispira all’umanesimo ambientale. In particolare, ci siamo basati sul lavoro di autrici femministe decoloniali che immaginano un nuovo ruolo nello sviluppo e nell’implementazione dell’etica ambientale necessaria per una coesistenza giusta e sostenibile in tempi di crisi climatica. Autori come Marisol de la Cadena e Macarena Gómez-Barris sostengono che le arti aprono possibilità per nuove relazioni non estrattive, permettendo un futuro più giusto e sostenibile. L’arte ambientale è mutata radicalmente nell’ultimo decennio, trasformando la sua stessa storia e spostandosi dal gesto grandioso nel paesaggio – land art – a un’azione che è concepita come un processo di ricerca socio-ecologico-collettivo a lungo termine.

Cosa racconta l’esposizione della storia del Cile?
Per Turba Tol a Venezia sono arrivati Hema’ny Molina, membro della comunità indigena Selk’nam del Cile Covadonga Ona e pure scrittrice, e sua figlia Fernanda Olivares Molina, prima di quella comunità a tornare nella Terra del Fuoco, lì da dove i suoi antenati furono esiliati tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Questa vicenda è stata narrata innumerevoli volte da storici, antropologi e ricercatori: purtroppo, hanno sempre creduto che i Selk’nam si fossero estinti. Oggi, nello sforzo che compiono per essere riconosciuti, ci insegnano che i loro diritti e quelli delle torbiere sono interdipendenti.