Acque agitate nel mondo del calcio a causa delle acque inquinate, una delle possibili cause della Sla tra i calciatori. Il morbo del pallone fino a oggi ha ucciso 34 giocatori. Il silenzio del mondo del calcio è imbarazzante, nulla e nessuno può rovinare il giocattolo che allieta le domeniche calcistiche. Chi tra i calciatori avanza qualche sospetto viene additato come colui che sputa nel piatto in cui mangia. I ricercatori spesso hanno a che fare con un ambiente calcistico ostile.

Il silenzio dei media ha il suo peso (ad eccezione di qualche giornalista come Massimiliano Castellani di Avvenire, che da anni punta il dito sulle morti bianche nel calcio, denunciate nel libro Sla, il male oscuro del pallone). La Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) è una malattia degenerativa del sistema nervoso che colpisce i motoneuroni, che inviano gli impulsi elettrici ai muscoli e consentono il movimento. I muscoli progressivamente non ricevono più gli impulsi e si atrofizzano. Quando la malattia arriva ai muscoli respiratori, si muore.

L’Istituto farmacologico Mario Negri di Milano nel 2019 ha pubblicato i risultati di una ricerca nella quale documenta che i calciatori morti di Sla in Italia dagli anni ‘60 a oggi sono 34 e che la percentuale di Sla tra i giocatori è doppia rispetto al resto della popolazione. Lo studio sostiene anche che i calciatori di serie A hanno una probabilità di ammalarsi di Sla ben sei volte superiore alla popolazione normale.

In nessun altro sport su scala mondiale si ha una percentuale del genere. Tra le possibili cause allo studio, oltre ai traumi subiti durante la carriera calcistica, vi è l’erba del campo di gioco, trattata con diserbanti chimici. Non è un caso che i lavoratori più colpiti dalla Sla siano gli agricoltori e che essa colpisca anche i giocatori di football americano e di baseball, sport che si praticano su terreni erbosi, mentre finora su scala mondiale non si conoscono casi nel basket, nella pallavolo o nell’atletica.

LE TESI AVANZATE DALL’ISTITUTO MARIO NEGRI – che ha aggiornato uno studio effettuato nel 2005 dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (condotto su sollecito del pm Antonio Guariniello della procura di Torino, che indagò sul doping alla Juventus dopo le denunce di Zeman nel 1999) – si basano su un campione di 23.586 calciatori di serie A, B e C individuati attraverso l’album delle figurine Panini. I calciatori presi in considerazione, seguiti dall’istituto Mario Negri fino al 2018, hanno giocato tra il campionato 1959-60 e il 1999-2000. Secondo l’Istituto farmacologico milanese, i calciatori si ammalano di Sla verso i 45 anni, 20 anni prima rispetto ai 65,2 dei soggetti che non hanno praticato il calcio.

NEGLI ULTIMI DECENNI, nel calcio italiano si sono avuti 350 morti per malattie varie, dal cancro al pancreas alla leucemia. Si tratta di calciatori che hanno fatto dello sport la loro professione e che avrebbero dovuto stare bene in salute, visto che hanno condotto uno stile di vita esemplare, come attività fisica quotidiana, alimentazione corretta, controlli medici periodici. Invece sono andati incontro a morti premature, alcune delle quali appena qualche anno dopo la fine dell’attività calcistica.

È esemplare il caso del calciatore della Fiorentina Bruno Beatrice, morto all’età di 39 anni a seguito di un ciclo di Raggi Roentgen effettuato durante gli anni nella squadra viola e che gli provocarono la leucemia. Sulla morte del calciatore Beatrice, che giocò nella Fiorentina tra il 1973 e il 1976, indagò il pm di Firenze Luigi Bocciolini, che insieme ai Nas effettuò il sequestro delle cartelle cliniche, arrivando alla conclusione secondo cui in quegli anni nella squadra viola si faceva «sperimentazione medica».

A seguito delle recenti morti dei calciatori Sinisa Mihajlovic, deceduto per leucemia, e di Gianluca Vialli per cancro al pancreas, il patron della Lazio Claudio Lotito, oggi in Parlamento tra i banchi del centrodestra, ha proposto una commissione per far luce sulle morti premature di tanti calciatori e su quello di cui si faceva uso in quegli anni perché non accada più.

OGGI UN NUOVO DATO SI AGGIUNGE all’elenco delle cause che provocherebbero la Sla tra i calciatori. Alcuni ricercatori sostengono che tra le cause potrebbe esserci anche l’irrigazione dei campi di calcio effettuata con acque non trattate. Lo studio condotto da Nicola Vanacore, Antonio Ancidoni, Guido Bellomo dell’Istituto Superiore di Sanità e dal dottor Giuseppe Stipa dell’ospedale Santa Maria di Terni è stato pubblicato su Annals of Neurosciences sotto il titolo «Acque non trattate e Sla: un’ipotesi unificatrice per gli agenti ambientali coinvolti nella Sla».

I ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità per la prima volta includono il cluster dei calciatori tra quelli riconosciuti a livello internazionale sulla Sla. Gli autori dello studio sono partiti da un dato: tra i 34 calciatori morti di Sla, sei hanno giocato nel Como, quando la squadra lombarda giocava ai massimi livelli (Stefano Borgonovo, Lombardi, Canazza, Corno, Meroni – fratello del Gigi del Torino – e Gabbana). Il campo di calcio del Como è stato irrigato con acque grezze del lago. A loro si aggiungono altri due che hanno militato nel Lecco: Sauro Fracassa, protagonista dell’ultima stagione in serie A della squadra, morto nel 2000 di Sla all’età di 57 anni, e Massimo Pomi, affetto dalla malattia e ancora vivo.

Le società di calcio temono di essere accusati di responsabilità diretta sulle morti dei calciatori colpiti dalla Sla e ingenti richieste di risarcimenti da parte delle famiglie. I ricercatori paventano denunce delle squadre di calcio. Inoltre, dispongono di limitate risorse finanziarie per arrivare a conclusioni certe sul piano scientifico. Una commissione d’inchiesta potrebbe aiutare ad accertare la verità.