Europa

Calais: rissa tra migranti e spari, la disperazione domina

Francia Una ventina di feriti, 4 tra la vita e la morte. I passeur afghani messi in causa, la reazione degli eritrei. La violenza alimentata da una situazione di vita impossibile, tra repressione della polizia e nessuna risposta britannica dopo la promessa di accogliere i minorenni isolati con famiglia oltre Manica

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 3 febbraio 2018

Una rissa tra migranti afghani e eritrei, con una ventina di feriti, 4 africani tra la vita e la morte, colpiti da armi da fuoco: è la situazione che ha vissuto Calais giovedì sera, mentre ieri la tensione è rimasta alta tutta la giornata e si temevano altri scontri. Tutti gli elementi sono riuniti a Calais per far esplodere la violenza.

La scintilla è stata l’intervento dei passeur afghani contro gli eritrei, che hanno poi chiamato dei rinforzi: «I passeur cercano di scartare chi non ha soldi», spiegano all’Auberge des Migrants, associazione di protezione dei migranti. E gli eritrei sono tra coloro che hanno meno soldi. I passeur, che vedono sfuggire un business, «picchiano chi cerca di salire sui camion, sparano anche. Poi c’è stata una vendetta degli eritrei contro gli afghani», al momento della distribuzione dei pasti.

A Calais la situazione si è aggravata recentemente. Il 16 gennaio, Emmanuel Macron è stato sul posto. Il 18 ha incontrato Theresa May. La Francia ha chiesto alla Gran Bretagna di occuparsi dei minorenni isolati, che hanno parenti al di là della Manica. La notizia si è diffusa. Almeno 150 minorenni sono così arrivati a Calais, nella speranza di poter emigrare in Gran Bretagna legalmente. Ma non è successo niente. È solo aumentata la precarietà e il numero di persone che cercano ogni sera un riparo di fortuna per passare la notte. Le notti sono brevissime a Calais, perché la Francia ha deciso che non devono più esserci «punti di fissazione», cioè degli accampamenti selvaggi: così, la polizia interviene prima dell’alba, ogni notte, distrugge quello che trova, coperte, sacchi con i pochi averi, tutto. Di fronte all’indignazione che sta sollevando questa politica, la Prefettura ha messo in opera un dispositivo per «recuperare» i sacchi sequestrati dalla polizia: i migranti devono presentare un documento di identità, ma purtroppo non ce l’hanno o se lo posseggono non lo vogliono mostrare per evitare di venire schedati. È lo stesso motivo che li frena ad accettare i posti che sono stati aperti nei Caes (Centri di accoglienza e esame della situazione) – tre vicino a Calais (ma non troppo) – perché se risulta che non hanno diritto a chiedere asilo e che sono «dublinati», cioè dipendono dalla procedura di Dublino, vengono espulsi (verso l’Italia, in genere, paese di prima entrata). I Caes, che sono una sorta di «vetrina» dell’accoglienza, restano così mezzi vuoti. A Calais in questo periodo fa molto freddo e piove. Sono stati allestiti 270 posti letto d’emergenza. Per la grande maggioranza delle 600-800 persone che si sono di nuovo concentrate in questa «porta» per la Gran Bretagna, c’è solo l’erranza, la fatica immensa accresce le tensioni, favorisce la violenza tra gruppi di diversa provenienza.

Lo stato ha deciso di occuparsi direttamente della distribuzione dei pasti, al posto delle associazioni umanitarie, che Macron ha accusato di favorire l’illegalità dei migranti. Questa accusa è stata ripresa ieri dalla sindaca di Calais, Natacha Bouchart (Républicains, destra), dopo aver di nuovo sottolineato l’esasperazione dei cittadini. Macron ha chiesto alla Gran Bretagna non solo di contribuire di più per la frontiera a Calais, ma anche di finanziare l’economia della cittadina, in stato di asfissia. Il ministro degli Interni, Gérard Collomb, ieri è andato a Calais. Oltre a confermare che entro una quindicina di giorni lo stato si occuperà della distribuzione dei pasti, ha annunciato l’arrivo a Calais di altre due compagnie di Crs (polizia). La violenza è destinata a ripetersi, nessuna soluzione viene proposta.

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