Caccia al reporter scomparso tra i bolsoneros d’Amazzonia
Il limite ignoto Dom Phillips del Guardian e l’indigenista Bruno Pereira spariti lungo un fiume "caldo". Phillips è un veterano del giornalismo amazzonico, la sua guida Pereira uno dei massimi esperti. Obiettivo, raccontare una regione ormai invasa di minatori e narcos. Tracce di sangue su una lancia. «Prima di tutto devi capire che l’Amazzonia è del Brasile, non tua. Chiaro?» Così il presidente aveva risposto furioso nel 2019 al giornalista che lo accusava per la deforestazione
Il limite ignoto Dom Phillips del Guardian e l’indigenista Bruno Pereira spariti lungo un fiume "caldo". Phillips è un veterano del giornalismo amazzonico, la sua guida Pereira uno dei massimi esperti. Obiettivo, raccontare una regione ormai invasa di minatori e narcos. Tracce di sangue su una lancia. «Prima di tutto devi capire che l’Amazzonia è del Brasile, non tua. Chiaro?» Così il presidente aveva risposto furioso nel 2019 al giornalista che lo accusava per la deforestazione
Ogni ora che passa diventa più lontana la speranza di ritrovare in vita il giornalista del Guardian Dom Phillips e l’esperto di questioni indigene Bruno Pereira, scomparsi domenica nella Terra indigena della Vale do Javari, nello stato di Amazonas.
L’ultima volta che sono stati visti si trovavano nella comunità São Rafael, nei pressi della località nota come Lago do Jaburu, dove erano arrivati il venerdì precedente, insieme a un gruppo di 13 guardie indigene dell’Univaja, l’Unione dei popoli indigeni della Vale do Javari. Volevano affrontare la questione delle invasioni in quella che, con i suoi 8,5 milioni di ettari – una superficie maggiore di quella dell’Austria o dell’Irlanda – è la seconda area indigena più grande del paese e quella che concentra il maggior numero di popoli incontattati al mondo.
UN’AREA CHE negli ultimi anni ha registrato un vertiginoso aumento del traffico di droga, delle attività minerarie e della deforestazione illegale. «Lo stato è assente e lascia uno spazio vuoto. Dove non c’è lo stato, c’è il crimine», denuncia il leader dell’Univaja Eliesio Marubo.
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Amazzonia, la foresta rischia l’estinzioneÈ stata proprio una delle guardie indigene a riferire che, all’alba di domenica, Phillips e Pereira erano andati a parlare con un pescatore di nome “Churrasco”, presidente della comunità São Rafael, ma erano stati ricevuti solo dalla moglie, che aveva offerto loro «del pane e un sorso di caffè». Quindi avevano proseguito il viaggio, con la loro imbarcazione, in direzione di Atalaia do Norte. Dove però non sono mai arrivati.
Giorni prima, ha riferito il testimone coperto dall’anonimato (anche lui oggetto di minacce), avevano incrociato tre pescatori illegali su una lancia con un motore più potente – piuttosto insolito in quei corsi d’acqua così stretti – i quali avevano palesemente e minacciosamente ostentato di essere armati. E Dom Phillips aveva filmato tutto. Secondo la fonte, un trafficante di droga li avrebbe mandati sul posto con quella potente imbarcazione per tendere loro un’imboscata.
Uno dei tre uomini, tutti legati al narcotraffico, è stato arrestato la notte di mercoledì dalla polizia civile di Tabatinga: il suo nome è Amarildo da Costa de Oliveira, chiamato “Pelado”, ed è «uno dei volti più pericolosi della regione del fiume Ituí». Sulla sua lancia sono state individuate tracce di sangue e si attende ora il risultato della perizia. Prima di lui erano stati fermati altri due sospetti, “Churrasco”, zio di Pelado, e “Janeo”, ma erano stati subito rilasciati.
SUL BANCO degli imputati, però, è finito anche il governo Bolsonaro, la cui inerzia sul caso della scomparsa di Phillips e Pereira è stata denunciata persino dall’Onu: per giorni solo un elicottero, due imbarcazioni e una moto d’acqua erano stati dislocati dalla Marina, finché la giudice Jaiza Maria Pinto Fraxe non ha ordinato di intensificare gli sforzi per localizzare i due uomini, disponendo l’invio immediato di velivoli, motonavi e gruppi di ricerca. «Il governo ha impiegato molto tempo per intervenire, in un contesto in cui un’azione rapida è assolutamente imprescindibile», ha denunciato il Wwf Brasil.
Bolsonaro, al solito, ci ha anche messo del suo, dichiarando di non trovare «raccomandabile» un’«avventura» come quella che, a suo dire, stavano facendo Phillips e Pereira in Amazzonia. Come se se la stessero spassando in vacanza. Una dichiarazione «vergognosa», commenta Leonardo Lenin dell’Opi (Osservatorio dei diritti umani dei popoli isolati), a cui trema la voce quando ci parla di Bruno Pereira, di cui ricorda l’«incalcolabile importanza» del lavoro svolto per molti anni con la Funai (l’agenzia governativa per popoli indigeni), ricoprendo anche il ruolo di coordinatore regionale per i popoli incontattati e di recente contatto, finché, nel 2019, non era stato rimosso dalla carica a seguito delle pressioni del potente settore dell’agrobusiness.
«Persino l’esercito e la polizia federale riconoscono come un’enorme quantità di operazioni sia stato il frutto del lavoro di Bruno». E oltre a essere un profondo conoscitore dell’Amazzonia e la maggiore autorità del paese sulle questioni dei popoli indigeni isolati – comprende almeno quattro delle lingue dei popoli della Vale di Javari – «Bruno possiede una qualità che non è così comune incontrare: sa realmente ascoltare e rispettare gli indigeni, i quali, a loro volta, lo ascoltano e lo rispettano».
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Bolsonaro e «imprese parassite», va in fumo l’AmazzoniaA evidenziare la sua dedizione è anche Fiona Watson, direttrice del Dipartimento Ricerca e Advocacy di Survival International, il movimento mondiale per i popoli indigeni, che ci racconta come, nonostante le difficoltà e le minacce ricevute per il suo impegno contro le invasioni di garimpeiros, taglialegna e pescatori illegali, «sia sempre riuscito a mantenere senso dell’umorismo, energia e determinazione, abile nel parlare all’interno delle stanze del potere e a destreggiarsi con la burocrazia».
ERA A LUI che si era affidato Don Phillips, il quale, dopo il suo trasferimento in Brasile nel 2007, aveva realizzato già diversi reportage in Amazzonia e stava preparando un libro sulla conservazione della foresta. E non aveva mancato di scontrarsi con Bolsonaro, quando, nel 2019, in risposta alle sue denunce sulla deforestazione, il presidente aveva risposto in maniera stizzita: «Prima di tutto devi capire che l’Amazzonia è del Brasile, non tua. È chiaro?»
Gentile, acuto e pieno di passione lo descrivono quanti lo hanno conosciuto. Un «narratore di talento» – sottolinea Fiona Watson – ma anche «un attento ascoltatore in prima persona delle voci e dei punti di vista delle comunità indigene».
Pelé, John Kerry e gli altri: trovateli
A 81 anni, il tre volte campione del mondo Pelé si è unito al tentativo di mobilitazione internazionale per il giornalista Dom Phillips e l’indigenista Bruno Araujo Pereira scomparsi in Amazzonia. «La lotta per preservare l’Amazzonia e i suoi gruppi indigeni appartiene a tutti noi», ha twittato O Rey, «mi aggiungo alle voci che chiedono di intensificare le ricerche».
Il musicista Caetano Veloso ha parlato di loro al suo concerto nella sala Vivo di Rio de Janeiro. Essendo il Brasile il paese che è, altri calciatori si sono aggiunti. La punta dell’Everton e della nazionale Richarlison ha retwittato il dolente messaggio della moglie di Dom Phillips.
E l’ex giocatore – e oggi famoso commentatore – Walter Casagrande ha registrato un messaggio di supporto. L’inviato del governo americano per il clima John Kerry ha promesso di occuparsi della vicenda, così come altri diplomatici mobilitati dal Foreign service britannico.
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