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Bolsonaro e «imprese parassite», va in fumo l’Amazzonia

Bolsonaro e «imprese parassite», va in fumo l’AmazzoniaBlocco stradale indigeno contro lo sfruttamento incontrollato della foresta nella regione amazzonica del Brasile – Ap

Popoli indigeni e ambientalisti brasiliani lanciano una campagna per chiedere  al mondo di non comprare soia, carne, petrolio, legnami, pelli senza certificazione Deforestazione selvaggia, +40% anche nelle aree protette. E l’Italia importa più di tutti nell’Ue

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 11 settembre 2020

>Una voce di bambino fuori campo: «Lo senti l’odore di fumo? È l’Amazzonia che brucia. Di nuovo!». Così inizia il video della campagna Defund Bolsonaro, lanciata da indigeni e ambientalisti allo scopo di salvare la più grande foresta equatoriale del pianeta, minacciata dalla deforestazione e dagli incendi. Incendi come sintomo di una «malattia ecologica» provocata da «imprese parassite» e dal «capitale globalizzato» con la benedizione di Bolsonaro e la complicità di governi, imprese, investitori e consumatori.

A TUTTI LORO, LA CAMPAGNA promossa, tra gli altri, dall’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil e dall’Observatório do Clima, chiede di sospendere l’acquisto di legname, carne, pelle, soia e petrolio provenienti dal Brasile, «a meno che non siano certificati», come unico modo di garantire «che l’odore di fumo e il sangue dei popoli originari non continuino a impregnare i prodotti consumati qui e all’estero». Non a caso, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science, la deforestazione illegale interessa circa il 20% della soia e almeno il 17% della carne bovina prodotte in Amazzonia e nel Cerrado ed esportate in Europa.

UN DISCORSO CHE, evidenzia Greenpeace, interessa anche l’Italia, la quale ha importato dal Brasile, tra il luglio 2019 e il giugno 2020, oltre 25mila tonnellate di carne, più di ogni altro paese dell’Unione europea, ed è risultata nel 2019 fra i primi dieci importatori europei di soia brasiliana. Per non parlare delle conseguenze micidiali che, sulla produzione e il consumo di carne, mangimi e altri prodotti legati alla deforestazione, avrebbe la firma dell’accordo tra Ue e Mercosur.
Di sicuro, non c’è tempo da perdere. Se, dal 1985 al 2019, il Brasile ha perso 87,2 milioni di ettari di vegetazione nativa (di cui 44 milioni in Amazzonia e 28,5 nel Cerrado), pari al 10% del territorio nazionale (più della superficie della Germania, dell’Inghilterra, dell’Italia e del Portogallo messi insieme), la distruzione della foresta amazzonica ha mostrato, da agosto del 2019 a luglio del 2020, un aumento del 34% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Persino le aree protette – terre indigene e unità di conservazione – hanno segnato, nello stesso periodo, una crescita della deforestazione del 40%.

VA MALISSIMO anche sul fronte degli incendi, malgrado l’operazione militare in Amazzonia “Brasil Verde 2” e la moratoria dei roghi disposta dal governo, l’una e l’altra rivelatesi completamente inefficaci a fronte dello smantellamento degli organismi di controllo da parte dello stesso governo.
Nel mese di agosto, infatti, sono stati registrati 29.308 roghi, il numero più alto in 10 anni dopo quello dell’agosto del 2019, quando gli incendi erano stati 30.900. Una riduzione solo apparente, però, essendo legata a un problema di un satellite della Nasa che non ha consentito la trasmissione di dati completi. E ancora peggio è cominciato settembre: i primi sette giorni del mese hanno fatto segnare 8.373 roghi, più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e sempre più diffusi anche in aree intatte della foresta.

LA SITUAZIONE è particolarmente critica nella regione del Pantanal, la più grande zona umida del mondo, dove gli incendi sono aumentati del 195% rispetto allo scorso anno, per l’effetto combinato della pioggia più scarsa, dell’aumento della deforestazione e dell’assenza di controlli. Eppure, quando una bambina ha interrogato il presidente Jair Bolsonaro e la sua équipe sugli incendi nella regione, l’unica risposta che ha ottenuto è stata una bella risata collettiva.

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