Busbas, 50 anni di carcere: ha diffamato la monarchia
Thailandia Dall’inizio delle proteste nel 2020 1.938 persone sono state perseguite per aver partecipato a assemblee o manifestazioni
Thailandia Dall’inizio delle proteste nel 2020 1.938 persone sono state perseguite per aver partecipato a assemblee o manifestazioni
Mongkol “Busbas” Thirakot – un attivista trentenne di Chiang Rai (Thailandia settentrionale) – è stato condannato a 50 anni di carcere per aver violato la legge sulla diffamazione reale, il famigerato articolo 112 del codice penale, la più drastica legge a difesa della monarchica che esista sul pianeta. L’udienza d’appello si è risolta con una condanna che ha tenuto conto di più reati oltre a quelli ascrittigli in primo grado, cosa che gli ha aumentato la pena. Secondo i suoi avvocati si tratterebbe della più severa condanna per violazione dell’articolo 112 del codice penale del Regno. Ora Busbas sta presentando una richiesta di cauzione alla Corte Suprema. Una battaglia in salita.
LA COLPA di Busbas è di aver partecipato a quel Movimento studentesco giovanile che negli anni scorsi – anche in piena pandemia – ha contestato la monarchia, il governo semi militare e la legge elettorale chiedendo che venissero ridotti beni e autorità del monarca. Attivista di un movimento che si è poi esteso a vasti settori della società thai, è stato arrestato nell’aprile 2021 mentre era in sciopero della fame a Chiang Rai per difendere il diritto alla cauzione per i prigionieri politici – tantissimi – incarcerati o condannati per aver violato la legge sulla diffamazione o il codice penale che tratta il capitolo «sedizione» (articolo 116). Nelle carte dell’accusa c’erano però anche 27 post su Facebook che hanno fatto decidere alla Corte d’appello che Busbas è colpevole di altri 11 capi di imputazione di lesa maestà, oltre ai 14 stabiliti dal primo grado. Da qui l’aumento della pena iniziale di 28 anni cui se ne sono aggiunti altri 22.
LE COSE sarebbero andate forse diversamente se la Thailandia avesse rispettato il voto popolare della primavera scorsa che aveva dato la vittoria a un partito – Phak Kao Klai – che aveva fatto dei limiti alla corona una sua bandiera. Ma poi la magistratura ha bloccato con un cavillo la candidatura a premier di Pita Limjaroenrat, il leader del partito, e i giochi sono tornati in mano all’élite che ha ottime relazioni sia col re sia con l’esercito. Occasione sprecata di cui Busbas non è l’unico simbolo.
Amnesty International ricorda il caso di Anchan Preelert, una ex alta funzionaria del settore statale fiscale condannata nel gennaio 2021 e a cui inizialmente era stata comminata una pena detentiva di 87 anni con l’accusa di aver violato il famoso articolo 112 e il Computer Crime Act per via di post su molteplici social media che avrebbero diffamato la monarchia. La pena è stata poi ridotta a 43 anni perché Anchan ha confessato. Così adesso tocca a Busbas il primato di una condanna che ha il sapore di una legge medievale. Una condanna ai sensi dell’articolo 112 comporta un minimo di tre anni di reclusione e un massimo di 15 anni per ciascuna accusa. Il cumulo, come si vede, può portare a condanne che equivalgono al carcere a vita.
SECONDO I DATI di Thai Lawyers of Human Rights (Tlhr), il gruppo di avvocati che ha diffuso la notizia della condanna di Busbas, a oggi, dall’inizio delle proteste del luglio 2020 fino al 31 dicembre 2023, almeno 1.938 persone sono state perseguite in 1.264 casi a causa della loro partecipazione ad assemblee e manifestazioni politiche (286 sono bambini e giovani sotto i 18 anni). L’accusa di lesa maestà riguarda invece almeno 262 persone in 287 casi. Il re può dormire sonni tranquilli. Potrebbe dunque anche accordare loro il perdono reale.
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